su lichtenstein che cita artisti precedenti e avanguardie

pare che la mostra di colonia recensita domenica dal financial times sia parente di è proprio quella vista mesi fa alla triennale di milano, benché il titolo sia diverso. comunque, ecco una chiave di lettura sensata:

The results can by dry in their precise artifice, but they are never nostalgic. That is why Lichtenstein still looks especially fresh in historic European museums. Here one is aware that only an American could have so courteously, calmly, generously, definitively smashed European modernism, yet assimilated it into the postwar international aesthetic that continues to influence how art is made and seen now.

Jackie Wullschlager – Engagement with modernism
via www.ft.com

(la mostra mi era piaciuta, ma forse a causa di quel “dry” non ne avevo scritto nulla?)

la mostra delle foto di kubrick

a palazzo della ragione alla fine l’ho vista, l’ultimo giorno –  il catalogo era finito, era finita pure la brochure – aggirandomi turista fra i turisti in una milano torrida (ma è normale che ci siano tanti turisti? oggi sono entrata in 2 negozi di scarpe in via torino e c’era pieno di americani. segnalo sandali artigianali fiorentini da marco a 39 euro).
le foto dei servizi di k per la rivista look le ho guardate proprio religiosamente ma, dopo una prima sequenza molto rapina a mano armata e quell’altra bellissima sulllo sciuscià di brooklyn (e rocky marciano, sbirciato sulle stampe digitali che ornavano i muri – ma perché non mettere quel reportage in mostra?), l’adorazione è un po’ rientrata nei limiti dell’interesse per le foto d’epoca (insomma, che cosa non ci interessa, oggi, di una foto del ’47?) e della discutibile impostazione di una rivista d’attualità romanzata: un po’ fotoromanzo, a dirla tutta, e a giudicare dall’impaginazione dei servizi fotografici.
così è un po’ difficile dire se le raccapriccianti foto della debuttante e quelle buffe della coppia in viaggio in portogallo siano pura satira o concessione al gusto della rivista e del suo pubblico; e anche le immagini delle varie università/istituzioni per l’infanzia non si scostano molto dalla macchietta (benché ce ne siano alcune con scienziati pazzi degni di stranamore, e una trionfale incursione tra i freaks di un circo).

da vedere, comunque; addirittura trionfalmente se si tramuta in scusa per stare fuori casa e andare a mangiare il fritto misto. ma comprare uno dei libri curati da reiner crone, p. es. quello phaidon che si trova su ebay? boh, chissà.

un sabato mattina a milano

Pink alla lush avevano capito tutto, mi hanno pure appioppato un campione di sapone rosa… annusarlo potrebbe forse aiutare un po' a riprendersi dalla mostra di paul mccarthy.  mi sono ricordata di andarci dopo aver letto susner, ed effettivamente lo spazio di palazzo citterio a brera ha dell'incredibile. ciò che ti segna di più forse è ritrovarsi a guardare il quieto, luttuoso autoritratto all'ingresso sotto la minaccia di urla terribili provenienti dal sotterraneo (terrore incombente che tutte le dementi nefandezze della decadenza messa in scena da mccarthy forse non arrivano a eguagliare – benché insomma, fra tutte le sgradevolezze organiche cui ci si può trovare di fronte a una mostra, questo è un bel vertice, va detto).

esci e per un attimo ti torna la gioia di vivere, finché non arrivi in piazza del carmine a constatare l'effetto del negozio di marc jacobs che ne monopolizza il lato sinistro: non ci sono manufatti particolarmente oltraggiosi ma il tutto stride, non va. il bar, poi, l'hanno messo all'estremità più vicina alla chiesa. se ci si aggiunge la quantità abnorme di tavolini con cui il ristorante di fronte invade il sagrato, eccoci a dire ciao ciao a una delle piazze più belle di milano (per la cronaca: poche, milano non è una città di belle piazze). 
all'angolo per fortuna resiste il negozio tradizionale delle scarpe da sciura milanese: garlando (che per la comodità consiglio, mentre quelle di mj le sconsiglio – chissà perché la protagonista delle herbes folles di resnais si va a comprare le scarpe proprio dall'americano, con tutti i negozi che ci sono a parigi).

i gatti persiani

il film di bahman ghobadi non sarà quel capolavoro che si dice ma è a tutti gli effetti il commitments iraniano (con finale iraniano però, sigh – tra l'altro c'è un'immagine che ricorda tanto donne senza uomini, sarà un caso).
si disperde un po' nei ritratti delle varie band, però questo aspetto documentario (e forse anche quello un po' videoclipparo) a me è piaciuto. sia pure per costrizioni produttive, risulta film di genere misto, poco definibile, che nel seguire i personaggi nei più improbabili anfratti cittadini ha un suo fascino anche al di là dell'argomento interessante/straziante (la vita quotidiana giovanile a teheran).  e la realizzazione ruvida nasconde sentiti omaggi al Cinema (il prologo autobiografico, le 2 citazioni di al pacino/de palma).
hanno ragione quegli snob degli inglesi a dire che la musica è derivativa, comunque io mi sono un po' affezionata ai take it easy hospital, forse proprio per la fragilità della loro musica in quel contesto poco accogliente. chissà in inghilterra cosa combineranno… auguri.

(nel frattempo, di panahi ancora nessuna notizia)

sight and sound aprile 2010

strano fenomeno, forse mi sono rimessa a leggere riviste di cinema: un duel qua, un positif là, un filmtv se capita (segnocinema no, per adesso :o).

s&s dunque cosa ci proponeva nel penultimo numero:
– articolo di iain sinclair su fritz lang e M, abbastanza interessante
recensione dell’ultimo film di chris petit
– una mostra dei bellissimi poster polacchi a londra
– la scoperta che il regista di un film ufficialmente fra i più brutti del mondo, the howling II (memorabile però a suo modo la colonna sonora), ha più illustri precedenti
– struggimento per non aver ancora visto questo film su hitchcock
ottimo articolo sulle varie versioni cinematografiche di alice
[insomma, avrei potuto guardarmelo online, ma riesco a concentrarmi solo su carta, non ce n’è.]

e dopo aver letto pure la simpatica fanzine milanese gratuita fermoimmagine (seria come avrei potuto farne – e ne facevo – da giovane) mi trovo a voler leggere alice in sunderland di bryan talbot, che dite, mi può piacere?

alla fine stasera non sono andata al cinema

perché c'erano delle zucchine da utilizzare – quindi ho fatto la zuppa e ho cenato – ma anche perché ero già andata:
– sabato a vedere l'uomo nell'ombra di polanski, di cui ho goduto assai la cornice editoriale oltre al thriller isolano (come shutter island ma con le dune – polanski ama le dune, o forse tecnicamente in cul-de-sac non c'erano dune, ma il paesaggio è simile). può sembrare un normale giallo uomo-comune-in-una-storia-più-grande-di-lui, ma il tocco di polanski per l'ambiguità e certi tocchi comici… ineguagliabile.
adesso p. non fa che citare la battuta: «non ho mai capito a cosa serve il vino bianco».
– domenica a vedere fantastic mr fox di wes anderson. a milano si può vederlo solo andando al plinius di pomeriggio, ma ci sono più occhialuti fan di wes anderson che bambini. qui mettiamo una foto a beneficio dell'archivio miniature:

Fantastic-mr-fox4

e un'altra a memoria della mia identificazione con l'opossum:

Fantastic-mr-fox5 

ora non mi rimane che leggere il libro di roald dahl (in italiano furbo, il signor volpe). 
questi 2 film, nonché il film precedente che ho visto in sala, l'impressionante profeta di audiard, hanno tutti la colonna sonora di alexandre desplat, che prima non avevo mai sentito nominare. capita sempre così.
– lunedì pensavo di andare a teatro e sono finita di nuovo al cinema.  fanny & alexander in questi giorni stanno facendo, al teatro i,  2 spettacoli del loro lavoro sul mago di oz: emerald city e him, entrambi ispirati a questo cattelan. ci sono arrivata ignara del fatto che stavo per rivedere quasi tutto il film di fleming con l'audio doppiato in diretta (in lingua originale) da marco cavalcoli vestito da hitler, in ginocchio davanti allo schermo. la cosa mi ha segnato.
(ah, forse vado al cinema anche domani)

la provincia colpisce ancora

annullata anche l'annuale rassegna dei film di cannes a milano.

negli ultimi giorni peraltro mi è completamente sfuggita, al centro culturale francese, questa rassegna (qui sostegno del comune). 
restano, oggi, ben 4 film con hippolyte girardot. io potrei arrivarci alle 9, ma non me la sento di affrontare 168 minuti di una lady chatterley in cui lui fa il marito paraplegico…  pare quasi inevitabile andare a rivedere un mondo senza pietà.

shutter island (con spoiler ovviamente)

sono così d'accordo con la recensione di exit che la pigrizia mi spinge a non aggiungere granché.
per esempio che sto ascoltando la colonna sonora, e anche il disco merita (specie per me alquanto ignorante di musica contemporanea). dettaglio dei
compositori
: cliccando sui nomi nell'internet movie database, si scopre che ben 3 compositori e 2 brani figurano anche nella colonna sonora di shining.
dunque cos'abbiamo: citazioni di shining, citazioni hitchcockiana a iosa (in particolare vertigo), un'aria di finzione molto riuscita che aleggia in tutto il film e che si può spiegare sia con gli stilemi del film di genere sia con la trama stessa, eppure secondo me va oltre – non so se volontariamente, magari no.
p. il cameraman, per esempio, attribuisce a un film piuttosto scontato e raffazzonato il fatto che lo scioglimento sia poco plausibile, mentre io trovo inquietante l'accumulo di ulteriori assurdità: l'implausibilità della messa in scena terapeutica (e poi: l'uragano mica era programmato, allora le orribili segrete del manicomio sono vere o finte? sui maltrattamenti – se non sugli esperimenti – aveva ragione il protagonista?); il fatto stesso che teddy sia detenuto in un manicomio criminale pur essendo impazzito a causa del crimine che ha commesso e non abbia commesso un crimine in quanto pazzo; la meccanicità della storia che ricomincia da capo…
non so, saranno cose da horror manicomiale anche i medici che sembrano più matti dei pazienti, ma il tutto risulta piuttosto disturbante, anche se con lungaggini e discontinuità (il primo sogno fa sperare ancora in quei grandi momenti romantici di scorsese, mentre la scena madre finale – cioè iniziale – mi è parsa girata in maniera banale; le scene di dachau sono troppe); e mi è rimasta voglia di rivederlo.
essendo il cinema già onirico per se, un film letteralmente onirico – o psicotico, sempre d'inconscio in primo piano si tratta – bisogna saperlo fare, e in un modo o nell'altro scorsese secondo me ci è riuscito.
(su di caprio non mi esprimo; lo trovo molto funzionale alle cose che gli fa fare ms, ma che mi piaccia come attore non si può dire.)

sabato sera alla triennale

per il festival teatrale uovo, i dewey dell (rampolli di castellucci della societas) vestiti così
nel grande atrio buio sembravano proprio rendere omaggio al periodo d'origine del museo.

I am 1984 di barbara matijevic e giuseppe chico ovviamente mi è piaciuto, con la sua natura di percorso pseudoscientifico generazionale fra le olimpiadi, guerre stellari, la nascita della apple e il balletto classico.

Uovo20109

povera alice!

Burton's red queen

uh, ma quante recensioni negative ha avuto l'alice in wonderland di tim burton. così tanta gente si aspettava un approfondimento terorico di lewis carroll?  non siamo mica negli anni 70…  e tutta questa critica contenutistica: «bellissimo da vedere ma superficiale», «visivamente splendido ma freddo», «rutilante ma conservatore» (parafraso da rotten tomatoes).
io non sapevo che aspettarmi, e mi è piaciuto.
va be', la disney ci ha messo i nomi italiani del suo vecchio film e infilato a forza qualche cucciolo, ma in compenso le creature sono meravigliose, la più inquietante illustrazione di tenniel prende vita, johnny depp è di nuovo un alieno di immensa malinconia, il 3d finalmente funziona (vera profondità e bell'effetto rilievo, non solo qualche interpellazione ogni tanto). 
forse per la confusione delle dimensioni variabili di alice, spesso i personaggi risultano piccoli rispetto allo scenario, un mondo che per questo sembra ancora più vero.  ecco, quel mondo mi è stato sufficiente in sé, non l'ho trovato una scatola vuota come dicono molti.
e il tornare da grandi nel paese delle meraviglie sarà anche funzionale all'edificante impostazione disney (e toglie lo sceneggiatore dall'imbarazzo di mettere una bambina in situazioni bizzarre), però… che questo film ce lo conceda non è poco.  certo che è un film per grandi. un bimbo piccolo con chi si identifica, con il topo? un film per adulti spettatori abituali di film d'azione, ma che forse non sanno ancora bene chi sono.  capita.
meno originale e bello dei suoi film più belli, eppure non rigido e spietato come sweeney todd, non buonista come big fish, comunque meno action movie di sleepy hollow, forse questo è il vero classico di tim burton.
in ogni caso ho voglia di rivederlo.

vi dirò poi che il ciciarampa viene dalla traduzione di milli graffi per garzanti, che rizzoli ha ristampato la da tempo introvabile edizione commentata da martin gardner e tradotta da masolino d'amico per longanesi, e che ho rinfrescato per l'occasione questi link (si era pure parlato brevemente di alice al cinema: qua – e prima o poi mi piacerebbe vedere la versione bbc del 66).

(and then, on to dark shadows)