Box 3, spool 5

Rivedere L’ultimo nastro di Krapp trent’anni abbondanti dopo David Warrilow. In italiano, interpretato da Giancarlo Cauteruccio. (Ma perché solo dieci persone a vederlo? Perché solo dieci persone anche l’altra volta che sono andata alla rassegna di conversazioni e teatro su Pasolini e Beckett curata da Doninelli? Qui ci vorrebbe un’appassionata difesa delle sale parrocchiali.)
Due cose, principalmente (o tre).

Rivedere Krapp dopo trent’anni e non avere nastri di trent’anni fa. Poteva essere una buona idea, peccato essere giovani e incoscienti. Ci sarà gente che ha preso lo spunto da Beckett e si è registrata degli appunti diaristici sonori invece di scriverli? Pare impossibile non averci mai pensato prima d’ora, come un “giorno dell’anno” (Christa Wolf) sonoro.

Rivedere Krapp nell’era del digitale. Per definizione si svolge in the future /d’ici quelque temps. Testo del 1958. A fine Novecento eravamo nell’epoca dei registratori a cassetta, ma il principio era quello, riconoscibile (negli studi radiofonici i registratori a bobina esistevano ancora); eravamo, in effetti, nel futuro (la registrazione su nastro è disponibile dagli anni 50, e Krapp ha registrato per circa 40 anni). Non so esattamente come funzioni la regia audio di Cauteruccio; la macchina c’è, ma, se è mai stata manovrata direttamente dall’attore – forse no: anche originariamente il suono veniva dalla regia? – certamente non lo è oggi. E oggi è facilissimo prendere appunti sonori (o video, volendo) con il marchingegno che abbiamo sempre in tasca. Dunque ha ancora senso (a parte il testo meraviglioso) mettere in scena Krapp? Forse sì, perché rende visibile l’insensatezza della tentazione di oggettivare la memoria – di registrare tutto – sviluppatasi col digitale.

Rivedere Krapp in italiano (classica traduzione di Fruttero). Spool: bobina. Bobiiina! Certo, in francese è bobine. Box three/spool five: tecnico, veloce. Boîte trois/bobine cinq: allitterante. Scatola tre/bobina cinque: molte sillabe, burocratico.

In copertina dell’Oscar Mondadori (1983), disegno di Ferenc Pintér.

Romanzi sui traduttori

Pablo De Santis, La traduzione, tr. di Elena Rolla, Sellerio 2001

Biagio Goldstein Bolocan, Il traduttore, Feltrinelli 2017

Brice Mathieussent, La vendetta del traduttore, tr. di Elena Loewenthal, Marsilio 2009

Idra Novey, Ways to Disappear, Little, Brown, 2016 (La donna che sparì con un libro, tr. di Letizia Sacchini, Garzanti 2017)

Ne conoscete altri?

Varianti vittoriane

Anche quest’anno il nostro post di traduzioni di stagione – un po’ in anticipo su Halloween; questioni di calendario.

Edith Nesbit
Il mistero della villetta bifamiliare

La stava aspettando; l’aspettava da un’ora e mezzo in una polverosa stradina suburbana, con una fila di grandi olmi da un lato e dall’altro qualche appetibile terreno da costruzione – e lontano a sud-ovest le ammiccanti luci gialle del Crystal Palace. Non era proprio come una stradina di campagna, perché aveva marciapiede e lampioni, ma comunque non era un brutto posto per un appuntamento; e più su, verso il cimitero, era in realtà abbastanza agreste, e quasi graziosa, soprattutto al crepuscolo. Ma da tempo il crepuscolo si era scurito in notte, e lui aspettava ancora. L’amava, ed era fidanzato ufficialmente con lei, con la completa disapprovazione di ogni persona ragionevole che fosse stata consultata. E stasera questo appuntamento semiclandestino doveva prendere il posto del colloquio settimanale sancito con riluttanza – perché un certo ricco zio era in visita a casa, e la madre di lei non era donna da svelare a uno zio abbiente, che avrebbe potuto «andarsene» da un giorno all’altro, un’unione così profondamente inappetibile come quella tra loro due.
Dunque l’aspettava, e il freddo di una sera di maggio insolitamente rigida gli entrava nelle ossa.
Il poliziotto lo superò con appena una reazione scorbutica al suo «Buonasera». I ciclisti gli passavano accanto come fantasmi grigi dotati di sirene da nebbia; ed erano quasi le dieci, e lei non era venuta.
Si strinse nelle spalle e si diresse verso il suo alloggio. La strada lo portò davanti alla casa di lei – desiderabile, spaziosa, bifamiliare – e si avvicinò a passo lento. Lei avrebbe potuto uscirne in quello stesso momento. Ma non accadde. Non c’era nessun segno di movimento nella casa, nessun segno di vita, neppure luci alle finestre. E non era gente che andasse a letto presto.
Si fermò vicino al cancello, incerto.
Poi notò che la porta d’ingresso era aperta – spalancata – e che il lampione mandava un po’ di luce nell’atrio buio. C’era qualcosa in tutto ciò che non gli piaceva – anzi, che lo spaventava un po’. La casa aveva un’aria cupa e abbandonata. Era chiaramente impossibile che ospitasse un ricco zio. Il vecchio doveva essere partito prima. Nel qual caso…
Risalì il vialetto di mattonelle dallo smalto lucido, e ascoltò. Nessun segno di vita. Passò nell’atrio. Non c’era luce da nessuna parte. Dov’erano tutti, e perché la porta era aperta? In salotto non c’era nessuno, la sala da pranzo e lo studio (due metri e mezzo per due) erano ugualmente deserti. Erano tutti fuori, evidentemente. Ma la spiacevole sensazione di non essere, forse, il primo visitatore casuale a varcare quell’uscio aperto lo spinse a esplorare la casa prima di andare via e chiuderselo alle spalle. Quindi salì di sopra e alla prima porta che incontrò accese un cerino, come aveva fatto nelle stanze di soggiorno. Proprio mentre lo faceva sentì di non essere solo. Ed era preparato a vedere qualcosa; ma a quel che vide non era preparato. Perché quel che vide giaceva sul letto, in un ampio abito bianco – ed era la sua innamorata, e la sua gola era tagliata da un orecchio all’altro. Egli non sa cosa sia successo poi, né come arrivò al pianterreno e in strada; ma in qualche modo uscì, e il poliziotto lo trovò in preda alle convulsioni, sotto il lampione all’angolo della strada. Quando lo prelevarono non riusciva a parlare, e passò la notte in cella, perché il poliziotto di ubriachi ne aveva visti tanti, ma mai uno con le convulsioni.
Il mattino dopo stava meglio, sebbene ancora molto pallido e malfermo. Ma la storia che raccontò al magistrato fu convincente, e mandarono un paio di agenti con lui alla villetta.
Non c’era folla intorno come aveva immaginato di trovare, e le tende avvolgibili non erano abbassate.
Mentre stava, frastornato, davanti alla porta, questa si aprì, e ne uscì lei.
Lui si appoggiò allo stipite per sostenersi.
«La signorina sta benissimo, vede» gli disse l’agente che l’aveva trovato sotto il lampione. «Ce l’avevo detto che era ubriaco, ma non sentiva ragione…»
Quando fu solo con lei le raccontò – non tutto – perché quello non tollerava d’essere raccontato – ma come era entrato nella spaziosa villetta bifamiliare, e aveva trovato la porta aperta e le luci spente, ed era stato nella lunga camera sul retro di fronte alle scale, e aveva visto una cosa – cercando di accennare alla quale si sentì male e crollò e dovette farsi dare del brandy.
«Ma, mio caro» disse lei, «credo bene che la casa era buia, perché eravamo tutti al Crystal Palace con mio zio, e senza dubbio la porta era aperta, perché le cameriere scappano sempre fuori quando restano sole. Ma non puoi essere stato in quella stanza, perché quando sono uscita l’ho chiusa a chiave, e la chiave l’avevo in tasca. Mi sono vestita in fretta e ho lasciato tutte le mie cose sparse in giro.»
«Lo so» disse lui; «ho visto una sciarpa verde su una sedia, e dei lunghi guanti marrone, e una quantità di forcine e nastri, e un libro di preghiere, e un fazzoletto di pizzo sulla toilette. Ecco, ho persino notato l’almanacco sulla mensola del caminetto – 21 ottobre. Questo almeno non può essere, perché siamo in maggio. Eppure era così. Il tuo almanacco è sul 21 ottobre, non è vero?»
«No, ovviamente no» disse lei, con un sorriso piuttosto ansioso; «ma tutte le altre cose erano proprio come dici. Devi aver avuto una visione, un sogno o qualcosa.»
Lui era un giovanotto della City molto normale e ordinario, e non credeva nelle visioni, ma non ebbe un giorno o una notte di quiete finché non ebbe portato la sua innamorata e la madre via dalla spaziosa bifamiliare, facendole stabilire in un sobborgo piuttosto lontano. Fra l’altro nel corso del trasloco si sposarono, e la madre andò a vivere con loro.
I nervi del giovanotto dovevano essere rimasti parecchio scossi, perché per molto tempo fu stravagante e continuò a informarsi se qualcuno avesse preso la villetta desiderabile; e quando la prese un vecchio mediatore di borsa con famiglia, arrivò al punto di fare visita al vecchio signore e implorarlo, per tutto ciò che aveva di più caro, di non vivere in quella casa funesta.
«Perché?» disse il mediatore, prevedibilmente.
E allora lui diventò così vago e confuso, tra il tentativo di dire il perché e il tentativo di non dirlo, che il mediatore lo accompagnò alla porta, e ringraziò il suo Dio di non essere così stupido da permettere che uno squilibrato gli impedisse di prendere quella residenza bifamiliare così conveniente e desiderabile.
Ora, la parte curiosa e del tutto inesplicabile di questa storia è che quando lei scese a colazione la mattina del 22 ottobre, trovò il marito di un pallore mortale, con il giornale del mattino in mano. Lui afferrò la sua – non riuscì a parlare, e indicò il giornale. E lei vi lesse che la notte del 21 ottobre una signorina, la figlia del mediatore di borsa, era stata trovata, con la gola tagliata da un orecchio all’altro, sul letto della lunga camera sul retro di fronte alle scale di quella desiderabile villetta bifamiliare.

Traduzione di Alba Bariffi
Testo originale

Scaffali: letteratura fantastica

Una possibile prospettiva sulla ricezione italiana del racconto fantastico, di lingua inglese ma non solo, e relativa critica (file under: costruire competenze peregrine e non richieste)

Antologie di racconti

Storie di fantasmi. Antologia di racconti anglosassoni, a c. di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, Einaudi 1960
Racconti fantastici dell’Ottocento a c. di Italo Calvino, Mondadori 1983

Critica

Julia Briggs, Visitatori notturni, tr. di Marina Bianchi, Bompiani 1988
Roger Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza, tr. di Paolo Repetti, Theoria 1985
Roger Caillois, Nel cuore del fantastico, tr. di Laura Guarino, Feltrinelli 1984
Remo Ceserani, Il fantastico, Il Mulino 1996
Rosemary Jackson, Il fantastico. Letteratura della trasgressione, Pironti 1986
Francesco Orlando, Il soprannaturale letterario, Einaudi 2017
David Punter, Storia della letteratura del terrore, tr. di Ottavio Fatica e Giovanna Granato, Editori Riuniti 1997
Massimo Scotti, Storia degli spettri. Fantasmi, medium e case infestate fra scienza e letteratura, Feltrinelli 2013
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, tr. di Elina Klersy Imberciadori, Garzanti 1977
Elémire Zolla, Storia del fantasticare, Bompiani 1960

Vedi anche lo scaffale Vampiri

Meet you at the cemetery gates

Viale del cimitero acattolico di Roma

Per le Varianti autunnali, quest’anno una breve antologia di poesie scritte in memoria di un altro scrittore, magari in occasione di una visita alla tomba. Dal classico al criptico, al meramente occasionale; prevalenza di motivi acquatici. Esiti disparati del pentametro inglese. Andiamo in ordine cronologico.

La tomba di Shelley
di Oscar Wilde (1881)

Come fiaccole estinte al letto di un malato
magri cipressi attorniano la pietra scolorita;
qui la piccola civetta fa il suo trono
e la lucertola mostra il capo ingioiellato.

Dove papaveri a coppa ardono di rosso,
nella camera immota di quella piramide
una sfinge del Mondo Antico certo si occulta,
cupa guardiana di questo giardino dei morti.

Ah! Dolce è riposare dentro il grembo
della Terra gran madre dell’eterno sonno,
ma assai più dolce per te una tomba inquieta

nella caverna azzurra di un abisso d’echi,
o dove grandi navi affondano nel buio
sugli scogli di un’erta rotta dalle onde.

(originale: sonetto “all’italiana” ABBA, ACCA, DED, EDE)

Alla tomba di Melville
di Hart Crane (1926)

Sotto l’onda sovente, via da questo scoglio
i dadi d’ossa di annegati vide tramandare
un’ambasciata. I numeri, sotto il suo sguardo,
battendo sulla riva polverosa eran confusi.

Passavano relitti senza suono di campane,
il calice della morte prodigo a ridare
un capitolo in frammenti, geroglifico livido,
il presagio avvolto in corridoi di conchiglie.

Poi nella calma orbita di una vasta spira,
placate le sferze e sopito il rancore,
furono occhi gelati ad innalzare altari;
e risposte mute impresse sulle stelle.

Bussola, quadrante e sestante non evocano
più maree lontane… Giù negli azzurri abissi
il canto funebre non sveglia il marinaio.
Solo quest’ombra favolosa serba il mare.

(originale: quartine con rime occasionali)

In un appartato cimitero di Providence ove si recò Poe
di H.P. Lovecraft (1936)

Eterne le ombre covano su questo suolo
Da secoli sognando ciò che un tempo accadde;
Grandi olmi solenni svettano tra lapidi,
Alti guardiani di un mondo ormai nascosto.
Ristagna intorno una luce di memoria,
Alitano le foglie morte di quei giorni
Lontani e ne vagheggiano le viste.
Lo spettro triste si aggira per i viali
Allor calcati dai suoi passi vivi;
Non lo scorge uno sguardo comune, ma
Palpita nel tempo il suo canto misterioso:
Ode solo chi il segreto della magia imparò
E fra le tombe avvista lo spirito di Poe.

(originale: “sonetto” acrostico ABAB CCB DEDE FF)

Traduzioni di Alba Bariffi

Versi famosi e apparentemente semplici

Quanti modi ci saranno di tradurli in italiano? Addio, in questo caso, alla rima.

L’Adieu
di Guillaume Apollinaire (Alcools, 1913)

J’ai cueilli ce brin de bruyère
L’automne est morte souviens-t’en
Nous ne nous verrons plus sur terre
Odeur du temps brin de bruyère
Et souviens-toi que je t’attends

L’addio
Ho colto questo filo d’erica
l’autunno è morto tu ricordalo
non ci vedremo mai più in terra
odor del tempo filo d’erica
e tu ricorda che t’aspetto

(Traduzione di Alba Bariffi)

Un sonetto di Edna St. Vincent Millay

Fino a che dura questa sigaretta,
attimo breve alla fine di tutto,
mentre la cenere muta cade a terra
e alla luce del fuoco fatta lancia,

fondendosi alla musica ribelle,
l’ombra spezzata danza sopra il muro,
lascerò rievocare alla memoria
la visione di te, seguita dai miei sogni.

E poi adieu, – saluti! – il sogno è spento.
Della tua faccia so dimenticare
colore e tratti, l’uno dopo l’altro,

non le parole, i sorrisi non ancora;
ma nel tuo giorno questo attimo è il sole
su una collina, dopo il suo tramonto.

Traduzione di Alba Bariffi

Testo originale

Sonetto lo era prima che ci mettessi le mani io; «all’italiana» come schema, se non ovviamente come metro. Ma in traduzione la rima dà troppe costrizioni rispetto al senso del testo (anche se la prima strofa mi era riuscita), e alla fine pure la ricerca di un metro unico; non so se valga la pena. Benché al senso dell’originale si possa fare un po’ la tara di cosa fosse stato evocato dal metro e dalla rima, senza voler tenere ossessivamente ogni dettaglio…

Varianti d’autunno

Fra ottobre e novembre, un paio di traduzioni stagionali.

Anna George Meek
Il gatto di Dracula

Più agile sono, e vivo,
di lui che pure caccia nella notte.
Frusciamo i campi dove le cince tremano;
sorbiamo l’acqua nera dalle prede.
Salto le lame d’erba, sguainata l’aria,
la luna della forma del mio occhio. È svelto
per un pipistrelletto, ma io pranzo per primo:
ho la mortalità che scatta nelle anche.
Mangio e scopro il ventre nella sanguinaria
a scherno dell’aquila magra che mi vuole.
Succhia tuttora la sua salma, il pipistrello.
Gli strapperei le ali e rotolerei
l’anima sua in eterno fra le zampe,
ma lui solo mi fa entrare prima dell’alba
a scalare le tende del castello. Dopo,
mi solluchero al sole mentre dorme
nella sua cassa – che solo una volta gli ho imbrattato.
Amo il vibrare del mio corpo caldo.
Amo la mia deliziosa vita breve.

Traduzione di Alba Bariffi

Thank you Anna George Meek – grazie all’autrice per aver gentilmente concesso la pubblicazione.
Testo originale


Montague Rhodes James
C’era un uomo che abitava vicino a un camposanto

Questo, come sapete, è l’inizio della storia su spiriti e folletti che Mamilius, il più bel bambino di Shakespeare, stava raccontando alla regina sua madre, e alle dame di corte, quando arrivò il re con le sue guardie e la portò via in prigione. La storia non prosegue; Mamilius muore poco dopo, senza aver avuto l’opportunità di finirla. Ma come sarebbe stata? Shakespeare lo sapeva, senza dubbio, e avrò l’audacia di dire che lo so anch’io. Non doveva essere una storia nuova: doveva essere una che con molta probabilità avete già sentito, e persino raccontato. Ognuno può metterla nella cornice che preferisce. Questa è la mia:
C’era un uomo che abitava vicino a un camposanto. La sua casa aveva un piano inferiore di pietra e un piano superiore di legno. Le finestre della facciata davano sulla strada e quelle del retro sul camposanto. Una volta la casa apparteneva al prete della parrocchia, ma (siamo al tempo della regina Elisabetta) il prete era un uomo sposato e aveva bisogno di più spazio; inoltre, a sua moglie non piaceva vedere il camposanto di notte dalla finestra della camera da letto. Diceva di vedere… ma non importa quel che diceva; comunque, non diede pace al marito finché lui non acconsentì a traslocare in una casa più grande nella via principale, e quella vecchia fu presa da John Poole, che era vedovo e ci viveva da solo. Era un uomo anziano che stava molto per conto suo, e la gente diceva che era un po’ un taccagno.
Era molto probabilmente vero: di certo costui era morboso per altri aspetti. A quei tempi era comune seppellire la gente di sera, alla luce delle torce: e fu notato che tutte le volte che era in corso un funerale, John Poole stava sempre alla finestra, o al pianterreno o di sopra, a seconda che riuscisse ad avere una visuale migliore dall’una o dall’altra.
Giunse una sera in cui doveva essere sepolta una vecchia. Era piuttosto benestante, ma in paese non era amata. Si diceva di lei la solita cosa: che non era mica cristiana, e che in notti come San Giovanni e Ognissanti non si trovava mai in casa. Aveva gli occhi rossi e un aspetto orribile, e nessun mendicante bussava mai alla sua porta. Eppure quando morì lasciò una borsa di denaro alla Chiesa.
Non ci fu tempesta la sera della sua sepoltura; il tempo era bello e calmo. Ma ci fu qualche difficoltà a trovare necrofori e tedofori, nonostante la defunta avesse lasciato compensi più alti del solito per chi faceva quel lavoro. Fu sepolta nel sudario di lana, senza bara. Non c’era nessuno a parte le persone strettamente necessarie – e John Poole, che guardava dalla finestra. Appena prima che la tomba fosse riempita, il curato si chinò e gettò qualcosa sul corpo – qualcosa che tintinnò – e a voce bassa disse parole che suonavano come «Il tuo denaro perisca con te». Poi si allontanò rapidamente e così fecero gli altri uomini, lasciando solo un tedoforo a illuminare il becchino e il suo garzone mentre spalavano la terra nella fossa. Non fecero un lavoro molto accurato, e il giorno dopo, che era una domenica, chi andò in chiesa fu piuttosto brusco con il becchino, dicendogli che era la tomba più in disordine del cimitero. E in effetti, quando venne a guardarla anche lui, gli parve che fosse peggio di come l’aveva lasciata.
Nel frattempo John Poole si aggirava con un’aria strana, in parte esultante, per così dire, e in parte nervosa. Più di una volta passò la serata alla taverna, il che era del tutto contrario alle sue abitudini, e a coloro che si mettevano a parlare con lui lasciò intendere che era venuto in possesso di un poco di denaro e stava cercando una casa leggermente migliore. «Be’, non mi meraviglio», disse una sera il fabbro, «a me non piacerebbe quel posto lì. Passerei la notte a immaginarmi delle cose.» Il locandiere gli chiese che genere di cose.
«Be’, magari qualcuno che si arrampica fino alla finestra della camera, o simili», disse il fabbro. «Non so – la vecchia Wilkins l’hanno seppellita giusto una settimana fa, eh?»
«Suvvia, potresti anche avere rispetto dei sentimenti di una persona, secondo me», disse il locandiere. «Non è tanto piacevole per padron Poole, no?»
«Padron Poole mica ci bada», disse il fabbro. «Ci ha abitato abbastanza per saperlo. Dico solo che io non la sceglierei. Con la campana a morto, e le torce quando c’è un funerale, e tutte quelle tombe che stanno lì in silenzio quando non c’è in giro nessuno: però dicono che c’è delle luci – lei non vede mica delle luci, padron Poole?»
«No, non ne vedo di luci», disse scontroso padron Poole, e chiese ancora da bere, e rincasò tardi.
Quella notte, mentre stava di sopra nel suo letto, un vento lamentoso cominciò a girare per la casa, e lui non riusciva a addormentarsi. Si alzò e attraversando la stanza andò a un piccolo armadio a muro: ne estrasse qualcosa che tintinnava e se lo mise in seno alla camicia da notte. Poi andò alla finestra e guardò fuori nel camposanto.
Avete mai visto in chiesa una vecchia targa con la figura di una persona in un sudario? In cima alla testa forma una curiosa increspatura. Una cosa del genere spuntava dal terreno in un punto del camposanto che John Poole conosceva molto bene. Si precipitò dentro il letto e lì rimase completamente immobile.
Poi qualcosa fece un debolissimo rumore al telaio della finestra. Con una tremenda riluttanza John Poole volse gli occhi da quella parte. Ahimè! Tra lui e la luna c’era il profilo nero della curiosa testa increspata… Poi ci fu una figura nella stanza. Del terriccio secco ticchettò sul pavimento. Una bassa voce spezzata disse: «Dov’è?» e dei passi andarono da una parte all’altra, passi esitanti come di qualcuno che cammini con difficoltà. Ogni tanto si riusciva a vedere la figura che scrutava negli angoli, si chinava per guardare sotto le sedie; infine la si sentì armeggiare agli sportelli dell’armadio a muro, che si spalancarono. Ci fu un raspare di unghie sui ripiani vuoti. La figura si voltò di scatto, si fermò per un istante a fianco del letto, alzò le braccia e con un urlo rauco: «CE L’HAI TU!» –
A questo punto sua altezza reale il principe Mamilius (che, secondo me, la storia l’avrebbe fatta molto più breve) si gettò con un alto grido sulla più giovane delle dame di corte presenti, che reagì con uno strillo altrettanto acuto. Lui fu immediatamente afferrato da sua maestà la regina Ermione, che, reprimendo una propensione a ridere, lo scosse e lo schiaffeggiò con gran severità. Tutto rosso, e piuttosto incline a piangere, il ragazzino stava per essere spedito a letto; ma per intercessione della sua vittima, che ormai si era ripresa dallo spavento, alla fine gli fu permesso di restare fino all’ora solita in cui ritirarsi; e a quel punto anche lui si era ripreso al punto da affermare, nell’augurare la buonanotte alla compagnia, che sapeva un’altra storia anche tre volte più paurosa di quella, e l’avrebbe raccontata alla prima occasione che si presentava.

Traduzione di Alba Bariffi

Testo originale