walkscapes, camminare come pratica estetica

adesso ho questi tonti gadget che rendono vagamente meno spiacevole stare al computer in una sera torrida (ventilatorino usb e faretto usb), nonché bicchiere d’acqua con ghiaccio, menta e limone, ma sarà ugualmente un post cortissimo. non posso continuare anch’io a scaldare la città.
appena ho visto questo librino che parlava di camminare, di menhir, di dada, deriva situazionista e land art ho dovuto subito leggerlo – uno spera sempre di capire qualcosa di più delle proprie passioni, e decisamente, per chi ama perdersi via camminando, francesco careri evoca risvolti interessantissimi della cosa. iain sinclair non c’è manco in bibliografia, mi chiedo perché; per la verità forse l’approccio sinclairiano alla psicogeografia ha quel qualcosa di letterario che a un architetto può non piacere (così, è un’ipotesi; mi pare che l’attività dei londinesi e quella di stalker si svolgano in ambiti paralleli).
poi ho rivisto il cielo sopra berlino di wenders, tutto sulle terre di nessuno al confine del muro, quali vere quali ricostruite, cosa che mi è ripiaciuta molto più dei tediosi dialoghi di handke (mi scuso con gli estimatori).

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libri per ragazzi

«Come si chiamavano? Sapevo solo che erano proprio questi libri scomparsi ormai da tempo che non ero più riuscito a ritrovare. Adesso però erano in un armadio, che al risveglio mi resi conto di non aver mai visto prima. Nel sogno mi sembrava vecchio e familiare. I libri non erano disposti in verticale ma in orizzontale;e precisamente nell’angolo più minaccioso. In essi c’era aria di tempesta. Aprirne uno, mi avrebbe condotto nel bel mezzo del grembo in cui, cangiante e fosco, si rannuvolava un testo gravido di colori. Erano gorgoglianti e sfuggenti, sempre trapassavano in un violetto che sembrava provenire dalle viscere di un animale macellato. Innominabili e carichi di significato come quell’esecrabile violetto erano i titoli, ciascuno dei quali mi sembrava più bizzarro e familiare del precedente. Ma prima ancora di potermi impadronire anche di uno soltanto di essi, mi ridestavo senza aver sfiorato, neppure in sogno, i vecchi libri per ragazzi.»

walter benjamin, infanzia berlinese intorno al millenovecento, trad. it. di e. gianni, einaudi 2001

l’ex ospedale psichiatrico

paolo pini di milano, ad andarci solo di sera per gli spettacoli (come la lettura da elsa morante del teatro delle albe la settimana scorsa), resta un luogo misterioso, accogliente come un parco e inquietante come una struttura dismessa. questa volta si entrava nella ex mensa, un padiglione piastrellato che sa di muffa.
letto negli stessi giorni il racconto che dà il titolo a mandami a dire di pino roveredo.

poi ho anche visto constantine, che un po’ c’entra e un po’ no – se lo vedi fino alla fine aspettando le apparizioni di tilda swinton, vieni ricompensato dal lucifero («lou») dai piedi neri interpretato da peter stormare.

nel meccanismo

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stereotipato di strappare una settimana di ferie a un ufficio, precipitarsi in un’agenzia viaggi perché non si ha tempo di organizzare niente, procurarsi in cambio di mezza quattordicesima una settimana salubre in un posto dove il bel tempo sia sicuro e il viaggio breve (leggi isola greca con areoporto), resta tuttavia un margine di esotismo, almeno per chi non va mai da nessuna parte. non tanto o non solo per gli elementi tipici del luogo, apprezzabilissimi se riesci a schivare l’ardore con cui si cerca di attirarti nei ristoranti, ma per il curioso mondo chiamato «meta del turismo internazionale»: sulla più meridionale delle cicladi si trovano comunemente al supermarket i baked beans, e tipi di shortbread mai visti prima, mentre si incontrano serie difficoltà a farsi fare un caffè greco (fatto confermato dall’unico libro greco che ho trovato in casa e dunque ho portato in spiaggia: l’apprezzabile giallo difesa a zona di petros markaris).  ti capita una sera di parlare di kaurismäki con una finlandese ubriaca – conversazione limitata purtroppo dal fatto che nessuna delle due sapeva i titoli dei film in inglese – in un posto dove ti regalano un irish coffee all’ora dell’aperitivo (questo spero non mi capiti più), e il giorno dopo di discorrere con una coppia tedesca dei tipi di origano spontaneo in grecia e in italia. la massaggiatrice cinese cui affidi il collo per mezz’ora si rivela abitante a milano in zona maciachini, e ti dà il numero di un cellulare italiano a cui sarà reperibile da ottobre, finita la stagione in spiaggia. l’adorabile e peraltro tranquilla spiaggia di neri ciottoli vulcanici è sorvolata da una ventina di charter al giorno, tra andate e ritorni, ma il grazioso nuovo museo archeologico non vende neanche una cartolina. bizzarro. sono anche stata due volte a creta, si può dire (breve scalo in ambedue le tratte): la seconda volta per fortuna c’è stato il tempo di mangiare una spinakopita.

torno

Greece
ed eccoci in quella stagione in cui il click pad ustiona il pollice, e il desiderio di un felino di spalmartisi addosso viene accolto con entusiasmo decisamente minore di prima.
mentre la lavatrice va, volevo avvisare chi stesse partendo per santorini sprovvedutamente, come me, che gli scavi di akrotiri sono chiusi al pubblico da un anno e fino a nuovo ordine, uffa. (là nessuno ti avvisa, forse perché la chiusura è dovuta a crollo di una tettoia con morte di visitatore.)

se mi chiedono consigli su cosa fare a milano…

al momento sono troppo sconnessa dall’attualità per dare informazioni sensate (so solo che mi sto perdendo dei rock movies al cinema gnomo), e mi viene di limitarmi a possibili escursioni librarie (con eventuale rinfresco, solo per immediata associazione di idee).

libreria calusca c/o cox 18 (via conchetta 18; ivi anche mercatino biologico l’ultima domenica del mese, cioè domani; gelateria rinomata in via torricelli)
libreria utopia e la vicina fumetteria in via volta 20; libreria del cinema anteo (con libri di cinema fuori catalogo scontati)
in centro, evitando i megastore: milano libri e hoepli. unico cibo possibile da luini o nella zona bar del cantinone.
in zona cadorna, sempre notevole il triangolo libreria dello spettacolobuscemi dischibar magenta.
adelphi scontati in corso XX marzo 23 e in via paolo sarpi, non trovo il numero sulle pagine gialle (se si è in gita lì al quartiere cinese, si può mangiare da jubin, via sarpi incrocio via bramante, o in un posticino in via giordano bruno, nome non pervenuto)
i più bei libri fuori catalogo all’atalante, e non lontano il bizzarro antro di manifesti cinematografici all’inizio di via tadino, accanto allo spazio oberdan (in zona c’è anche la famosa borsa del fumetto). all’altra estremità di corso buenos aires, non trascuriamo la storica pizza al trancio di spontini e l’ottima gelateria di via pergolesi.

tutto ciò scoprendo l’acqua calda, ma ai non milanesi può servire. (i vicini di casa possono contribuire nei commenti, grazie.)

l’8 luglio mi trovo in vena di integrazione frivola:

oplà, via cagnola 7 (inizio corso sempione), meravigliose borse e altri accessori fatti a mano da michela danesi, li vengono a cercare fin dal giappone.

soul kitchen shop, via ugo bassi 30 (quartiere isola), divertente scelta di vestiti (anche da uomo), scarpe, monili artigianali-buffi-macabri… ci si trovano, ben selezionate, le cose di babashop.

vicino (via borsieri 16), vintage vero da miss ghinting. è stato anche sul los angeles times.