stereotipato di strappare una settimana di ferie a un ufficio, precipitarsi in un’agenzia viaggi perché non si ha tempo di organizzare niente, procurarsi in cambio di mezza quattordicesima una settimana salubre in un posto dove il bel tempo sia sicuro e il viaggio breve (leggi isola greca con areoporto), resta tuttavia un margine di esotismo, almeno per chi non va mai da nessuna parte. non tanto o non solo per gli elementi tipici del luogo, apprezzabilissimi se riesci a schivare l’ardore con cui si cerca di attirarti nei ristoranti, ma per il curioso mondo chiamato «meta del turismo internazionale»: sulla più meridionale delle cicladi si trovano comunemente al supermarket i baked beans, e tipi di shortbread mai visti prima, mentre si incontrano serie difficoltà a farsi fare un caffè greco (fatto confermato dall’unico libro greco che ho trovato in casa e dunque ho portato in spiaggia: l’apprezzabile giallo difesa a zona di petros markaris). ti capita una sera di parlare di kaurismäki con una finlandese ubriaca – conversazione limitata purtroppo dal fatto che nessuna delle due sapeva i titoli dei film in inglese – in un posto dove ti regalano un irish coffee all’ora dell’aperitivo (questo spero non mi capiti più), e il giorno dopo di discorrere con una coppia tedesca dei tipi di origano spontaneo in grecia e in italia. la massaggiatrice cinese cui affidi il collo per mezz’ora si rivela abitante a milano in zona maciachini, e ti dà il numero di un cellulare italiano a cui sarà reperibile da ottobre, finita la stagione in spiaggia. l’adorabile e peraltro tranquilla spiaggia di neri ciottoli vulcanici è sorvolata da una ventina di charter al giorno, tra andate e ritorni, ma il grazioso nuovo museo archeologico non vende neanche una cartolina. bizzarro. sono anche stata due volte a creta, si può dire (breve scalo in ambedue le tratte): la seconda volta per fortuna c’è stato il tempo di mangiare una spinakopita.