considero positivo

un fine settimana in cui si annoverano una mostra bella, uno spettacolo teatrale brutto, prendere freddo in una birreria all’aperto e un potente acquazzone di ritorno dalla stessa, ma anche l’installazione della cassetta di erbe aromatiche in balcone (qui ci vuole una prece perché attecchiscano) e soprattutto la scoperta del white lady.

un ringraziamento ai tre diversi gruppi di amici che hanno collaborato alla riuscita del weekend.

a questo punto considero possibile l’acquisto di un piccolo shaker.

che palle


anche la feltrinelli ha la carta fedeltà. me la sono lasciata appioppare in un momento di debolezza, e ora sono Titolare (prego notare la maiuscola, Titolare, come la visa gold) di una carta più. un altro pezzetto di plastica che va ad aggiungersi a n suoi simili, in una busta apposta (pure di plastica), perché nel portafogli non ci stanno e perché spero mi venga voglia di buttarli via tutti insieme. titolare? non voglio essere titolare di niente, e se per caso decido di essere «fedele» (fedele, ma come parli) a un negozio, di certo non sento il bisogno di essere pagata in scrausissimi punti per micragnosi sconti. e vabbé, rientra nelle convenzioni del commercio, do ut des eccetera, ma capperi, se il liberismo deve trionfare, vorrei almeno che l’illusione di essere libera di comprare quel che voglio dove voglio non venisse tarpata da questi striscianti ricatti ma potesse volare libera qui nel cielo bigio della capitale morale. ormai mi sento chiedere «ha la tessera?» un numero di volte al giorno tale da farmi sospettare che ci sia il partito unico, ma si siano dimenticati di dirmelo.

la questione del brivido

vado soggetta a un brivido misterioso a cui non riesco a trovare una spiegazione compiuta.
trattasi di brivido piacevole lungo la schiena (come quello che sopravviene quando qualche anima pia ti massaggia il collo, o causa commozione musicale) provocato con frequenza irregolarissima da microeventi che hanno un minimo comune denominatore veramente minimo, quasi inafferrabile. sono cose banali, a volte triviali:
veder incartare un regalo con lentezza e attenzione.
leggere una ricetta descritta con particolare cura.
veder illustrare una tecnica di maquillage alla tv.
veder apparecchiare la tavola a teatro.
sono arrivata a interpretarlo come una specie di piacere della finzione, o più precisamente della consapevolezza della finzione – della rappresentazione, direi, dell’intenzione. quello che mi chiedo da anni è se capita solo a me: ormai lo chiamo pomposamente il mio brivido estetico.
(al piacere della finzione già accennavo più genericamente qui, dove si parlava di brivido in senso lato – a me infatti i thriller non fanno venire i brividi.)

sindrome di cenerentola?

Quando ai saldi si dimostra che il numero più piccolo rimasto (35-36) mi va bene, mi sento un’eletta. Senza neppure essere costretta a sposarmi, dopo.
È questa qui la mia sindrome di cenerentola: mi pare che l’espressione venga genericamente usata per indicare una specie di complesso d’inferiorità o addirittura una propensione a farsi sfruttare, nonché, in psicologia infantile, per i bambini che accusano falsamente le madri adottive di maltrattarli, ma non lo trovo affatto appropriato. la cosa più importante della fiaba è senza dubbio la scarpetta.