hopper

Hoppereccolo qui in tutta la sua infinita riproducibilità.
non abbiamo più parlato della mostra di milano: in cui si sperava di vedere ancora più quadri, e più quadri famosi, ma nonostante la pubblicità milanocentrica era abbastanza ovvio che il museo whitney di nyc mica si poteva svuotare per noi…
nonostante ciò:

– ho visto gli autoritratti e i quadri parigini, che non conoscevo

– l'ossessione architettonica emerge in maniera soddisfacente, come pure, mi sembra, un grande influsso della fotografia nelle inquadrature: forse è la cosa più specifica della composizione di hopper, un'accettazione della struttura del soggetto da riprodurre che porta a non affollare volutamente cose nel quadro, e invece lavora sul taglio come un mirino fotografico

– i disegni preparatori e il registro d'artista in mostra svelano qualcosa di particolare, un forte pragmatismo: ogni quadro un lavoro di cui tenere traccia, facilmente rappresentato da una vignetta; il colore pianificato nella sua stesura quasi come nella lavorazione di un fumetto (adesso non trovo un esempio online, ma intorno al disegno sono scritti tutti i nomi delle tinte da usare poi sulla tela in rapporto a ogni porzione del soggetto).

bastardi senza gloria

di tarantino mi è piaciuto, soprattutto la parte didascalica sulle pellicole infiammabili.

volevo notare che:

– tra i personaggi c'è un critico cinematografico, e fa una ben brutta fine

– a genova ci fu nel 44 un attentato in un cinema frequentato dai tedeschi, l'odeon (vedi la strage del turchino, che ne fu la rappresaglia). vi accenna bruno morchio nel suo romanzo rossoamaro.

polacchi a londra

quelli sulla mia strada non erano i famigerati idraulici ma i 2 artisti (all'interno di una più ampia rassegna di cultura polacca) che quest'autunno hanno trasformato in antri tetri e bui un paio di noti spazi dedicati alle installazioni.

bunker di robert kusmirowski al barbican: labirintica e illusionistica ricostruzione di una specie di rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale, in bilico fra suggestioni realistiche e set cinematografico, con oggetti originali dell'epoca e pareti che sembrano pannelli arrugginiti ma sono di compensato. claustrofobico ma anche curioso, dà il piacere della finzione.
(per mettere anche qui un link agli avengers: v. the hour that never was. sì, è così, agente speciale c'entra con qualsiasi cosa.)

miroslaw balka alla tate modern: arrivi nella sala delle turbine chiedendoti che ci sta a fare quell'enorme container in mezzo, ma quando capisci di doverci entrare dentro (è questo il gioco: non solo puoi, devi…) improvvisamente quella di balka sembra una gran bella idea. cammini sul grande scivolo in direzione del buio; quando arrivi dentro la vista non si è ancora accomodata, procedi a tentoni.  solo quando arrivi in fondo o a una parete, dopo aver trovato a tentoni un punto di riferimento, ti giri e, sempre smarrito per la differenza di dimensioni fra te e il container, vedi le silhouette di quelli che entrano dopo di te. anche qui suggestioni belliche e paranoie da persecuzione nazista a iosa.

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drag me to hell

p. fa apposta a portarmi a vedere gli horror al multiplex del centro commerciale, così i post si intitolano da soli.
quanto all'ultimo film di raimi, cosa possiamo trovarci di interessante… (bisogna pensarci un po', eh)
per esempio che lo stereotipo della zingara strega, forse, in america è così astratto e slegato da qualsiasi attualità da non essere così politicamente scorretto come pare a noi.
che la scena alla stazione per un attimo ha qualcosa di un po' hitchcockiano, e forse lo è anche l'idea che uno può farsi della california in questo film.
che dopo coraline abbiamo di nuovo il male racchiuso nei bottoni.
per la cronaca, le ultime volte che sono andata al multiplex del centro commerciale era tutto aperto fino a tardi, grande folla e chiasso (quello sì) pauroso.

cosmonauta

Laika

visto  il film di susanna nicchiarelli sulla gioventù italiana affascinata dalla russia della corsa allo spazio, con le canzoni d'epoca rifatte da max casacci/gatto ciliegia. regista in sala al cinema ariosto, molto simpatica.
mi interessava il proposito di fare un film sugli anni 60 senza troppa nostalgia – anche se forse ne è rimasta un po': se non del periodo, almeno di una certa ingenuità. è uno di quei film sull'adolescenza (femminile) con una loro grazia particolare, tipo caterina va in città di virzì o stella di sylvie verheyde.

sarebbe carino se oltre al trailer ci fosse su youtube (ma non c'è) almeno un assaggio del corto di animazione proiettato «di contorno», che è sugli animali dello sputnik 5.

inventarietto della panoramica 2009

visto assai poco, come ormai da molti anni a questa parte.

soul kitchen di fatih akin: dove ritroviamo l'amico birolo e senz'altro si ride, ma senza che il film lasci tracce durature purtroppo (però si vede un pochino amburgo)

lebanon di samuel maoz: vincitore del leone d'oro a venezia, interessante ma secondo me discutibile: l'idea di far vedere la guerra dell'82 dall'interno di un carro armato per tutto il film, con le percezioni del suo equipaggio spaventato di soldatini di leva, dall'iniziale crudezza si riduce a un iperrealismo da videogioco, molto astratto.

honeymoons di goran paskaljevic: niente male. c'è meno la sua vena surreale e più vita quotidiana, in questo caso albanese.

life during wartime di todd solondz: questo sì, mi è proprio piaciuto. è imbarazzante ma non mi ricordo se ho visto o no il precedente happiness (in teoria, dovrei).  sono stata resa edotta che i due film cominciano con un'inquadratura quasi identica.

pare

che debba esserci una mostra di yayoi kusama al pac di milano da novembre: fonte londinese (ci sono arrivata via engadina), a oggi nessuna notizia googlabile in italiano – forse deve restare un segreto, chissà – tantomeno sul sito del pac che poi è il sito del comune (solo una traccia in un comunicato).

a proposito di svizzera, lo sapevate che daniel spoerri ha ricevuto l’ambrogino d’oro?

e già che ci siamo: elvetismi.
(non ricordo dove leggevo della difficoltà di rendere cose buffe del francese canadese nella traduzione italiana di un romanzo francese: io forse mi sarei ispirata all’italiano ticinese.)

camera work

altra mostra fotografica (in una milano stranamente invasa dai più vari sport a cielo aperto): dalla collezione alinari tutti i fascicoli della rivista camera work, sottovetro, aperti ognuno a una certa pagina, in modo da avere una panoramica dei fotografi pubblicati.

passando dalla visione delle photogravure al catalogo e allo slideshow che conclude la mostra, viene un po' di tristezza per la routine della riproduzione onnipresente e generalizzata di tutto, a cui ci si abitua lasciando i particolari e la qualità a un destino ignoto.

sul pittorialismo in sé in realtà sono rimasta un po' perplessa: forse emerge più la volontà di dare dignità d'arte alla fotografia imitando l'impressionismo che non un'idea di fotografia moderna e «specifica», che oggi si tende a collocare nella selezione del soggetto, in scelte di luce più originali ecc.

comunque in mostra c'è questa foto di steichen del flatiron building di new york (per appassionati: qui altre foto d'epoca del flatiron).