u come umbratile

lascio il settimanale post del giardiniere (al quale plaudo: mi piacciono i post tecnici) mentre me ne vo a tentare una gita di pasquetta sul po. non so se ne ricaverò materiale da monday bud blogging o solo un’indigestione. nel caso, comunque, oggi avrò imparato almeno che le shade loving plants in italiano si chiamano sciafile.

Umbratile

questa volta la scommessa era rappresentata da tre piccole aiuole esposte a nord-nordest e sovrastate da un filare di tigli. il committente voleva vederle fiorite in diverse stagioni dell’anno, e l’ombra rappresentava la sfida per un giardiniere inesperto.

gli amministratori, si sa, e gli italici in genere vanno matti per interventi del tipo «cosmesi floreale» con impiego en masse di fiori stagionali dai colori squillanti – viole, begonie, salvia splendens, tageti e altre amenità del genere – che oltre a sortire effetti raccapriccianti riportano le «sistemazioni a verde» dei nostri comuni direttamente all’epoca vittoriana con una cert’aria da stazioncina ferroviaria e nostalgia dell’infanzia tanto fuori luogo quanto imbarazzante per chi abbia un minimo di sensibilità in materia.

così, avendo escluso le orride impatiens e nuova guinea varie e dovendo fare i conti con un’ossatura sempreverde di lonicera nitida – avrei appreso più tardi che lonicera pileata è assai più affidabile e generosa – mi sono abbandonato all’impiego di alcune delle cosiddette «erbacee perenni» e «arbusti tappezzanti». questo il risultato all’indomani della realizzazione: aiuola 1: lonicera nitida, vinca minor, hemerocallis, convallaria maialis; aiuola 2: lonicera nitida e spirea bumalda «gold flame»; aiuola 3: lonicera nitida, pachysandra terminalis e hosta fortunei aureomarginata.

non ho fatto in tempo a vedere queste aiuole raggiungere la cosiddetta maturità. il giorno successivo all’impianto erano completamente sparite alcune delle essenze impiegate: addio belle hosta! addio mughetti! e ciao bella. i cani, i pedoni, l’incuria dell’amministrazione preposta alla loro manutenzione hanno fatto il resto.

questo tipo di interventi serve a fare bella figura in occasione di elezioni e feste di paese. niente a che vedere con le cure di un giardiniere appassionato.

t come tempesta

oggi il post del giardiniere arriva sotto un cielo cupo. un piccolo thriller su una quercia abbattuta dalla tempesta: anche se è una quercia urbana mi ha fatto pensare ai temporali nei boschi, a cui non si assiste ma di cui si trovano le tracce camminandoci in mezzo in pomeriggi asciutti e sicuri. a quello che rimane dopo l’intervento del giardiniere o della forestale: ai ceppi delle piante sconosciute (alla loro vita, magari lunga come quella della sequoia della donna che visse due volte), e di quelle con cui si è diviso qualche anno in un certo posto (penso a un certo abete di mia conoscenza, che ora purtroppo sta a tocchetti sotto una tettoia).

Quercia

lo schianto di una farnia in seguito al temporale estivo. fummo chiamati d’urgenza. si dovette intervenire con funi e motoseghe. dell’imponente quercia non resta che una sezione di tronco a raccontare i suoi anni…

s come seppia, scope, saggina

come strumenti, insomma. che, anche i più semplici, hanno tutta l’intensità dell’oggetto creato per creare qualcos’altro. ma s è anche l’iniziale del nome del giardiniere! e mentre il nostro abbecedario a tema vegetale volge al termine, si aprono nuovi orizzonti su flickr.

Scope

una rapida ricerca in rete alle voci rake, secateur, hoe e compagnia bella non ha fatto che scoperchiare un arido mondo commerciale variamente legato ad attività agricole. niente della poesia alla quale hanno saputo iniziarmi M. e S., rispettivamente meccanico e capogiardiniere della cooperativa. ah…, la poesia del motore a due tempi e dei manici per attrezzi in legno di salice!

sarà per questo che ho scelto il seppia per ritrarre gli attrezzi che io amo con nostalgia – per non essermici spaccato abbastanza le ossa adoperandoli? – e che i miei colleghi adoperano senza badarci più di tanto? per aggiungere quella patina di cose di una volta che gli attrezzi in sé hanno irrimediabilmente perso nel frattempo? se ne parla qui e anche qui.

peccato che oggi viaggia tutto in capannoni industriali, altro che capanni degli attrezzi (per riprendere una richiesta emersa a suo tempo). e per chi polemizzava sull’impiego del soffiafoglie (come mi piace ’sta parola!) ecco una tradizionale alternativa che tonifica alla grande i muscoli di braccia e avambracci… ma oggi è necessario anche meccanizzare.

altre immagini della stessa serie le trovate qui, nel neonato fotoblog del giardiniere – scusate il casino!

r come rose

siamo ancora qui a indagare dietro lo stereotipo, io e il giardiniere. gli passo subito la parola.

Rosatramonto

per prevedibile che possa sembrare, non potevo non affrontare questo tema. la erre chiama rosa. non c’è scampo e il giardiniere non può tirarsi indietro. dico così perché è un fiore che non mi è mai stato troppo simpatico. lo trovavo banale, scontato, così america anni ’50, italia anni ’60, così da… boom economico!
per lungo tempo infatti ho identificato «le rose» con gli ibridi di tea: rose dal gambo lungo, dai colori accecanti, dalla compattezza della corolla come una porcellana di capodimonte. rose prodotte in serie – oltre che in serre! rose belle da buttare. rose senz’anima, rose tutte uguali. rose della madonna, rose della mafia. rose che parlano di sfruttamento del lavoro e delle risorse. rose da san valentino, da «extracomunitario» al semaforo rosso. rose importune. rose che ci escono dagli occhi per averle troppo viste. come riproduzioni fotografiche di un’opera che è diventata troppo popolare.
e allora bisognerebbe entrare nel merito di specie e varietà. perché ero ingenuo all’epoca, non conoscevo nessuno che coltivasse altre rose nel suo giardino. i loro nomi sono fonte di pura delizia. sentite qua: fra le Rosa gallica: la Versicolor – detta anche Rosa mundi; La Belle Sultane; Tuscany Superb; fra le Rosa muscosa: Alfred de Dalmas; nel gruppo delle Rosa damascena: la Ispahan – detta anche Isfahan, qualcuno dice trattarsi di una gallica invece…; poi vengono le Rosa alba (queste sono le tue, Rose!) – sentite che roba – Cuisse de Nymphe Émue (!), nota anche come Maiden’s Blush Great; e poi le Bourbon: Mme Isaac Perire; Mme Pierre Oger. Non chiedetemi di andare oltre… il battito del polso è già accelerato, le mani cominciano a sudare, le papille olfattive danno segni di irrequietezza, ecco il link che ci voleva: roses. uno soltanto altrimenti questo diventa il post infinito!
certamente non si riferiva a ibridi di tea cielo d’alcamo quando scriveva rosa fresca aulentissima. qualcuno addirittura pensa che si riferisse a tutt’altro genere di fiore e io gli credo, perché quando parliamo di rose parliamo sempre d’altro… che cosa voleva dire lui quando diceva o rose thou art sick?
l’iconografia è infinita, gli studi, le varietà, gli ibridi, le follie non si contano quando si entra nel mondo delle rose. e siccome le parole non bastano ecco della musica.

q come quaderni

ma che calligrafia tonda ha il giardiniere! oggi sbirciamo addirittura dentro i suoi quaderni, dentro i giardini della sua vita e… dentro il suo photoblog, nientemeno.
i giardini sono davvero dei posti speciali, veri o sognati che siano. se anche voi che leggete ne avete qualcuno a cui siete particolarmente legati, magari raccontatecelo.

Quaderni

apro a tradimento il cassetto centrale della mia scrivania e scatto. c’è il quaderno che ho chiamato «a so called gardener’s notebook» dove sono andato appuntando brevi note di queste lettere verdi man mano che uscivano i post, e mi sono reso conto di come anche la maggior parte degli altri miei quaderni ha copertine a fantasia di fiori. sarà un caso?

per fare un tavolo ci vuole il legno – come per fare la carta, no? in che modo i giardini della mia vita sono legati alla parola scritta?
nel giardino di g. in provincia di varese ho trascorso le estati della mia infanzia. un magnifico glicine si arrampicava su per la casa e incorniciava la veranda. è da allora, penso, che detesto questa pianta e il retrogusto amaro e dolciastro del profumo dei suoi fiori. come quello di uno sciroppo. allora coltivavo portulache, scrivevo sulle pietre con il succo della celidonia. in questo giardino devo aver letto i pochi fumetti che ho letto in vita mia.
giardini dell’adolescenza: il campetto, e un giardino pubblico nei dintorni di holland street a cambridge dove ho letto delitto e castigo.
giardini dell’adulta età: i giardini della guastalla a milano, le aiuole della facoltà di scienze agrarie, sempre a milano. lì mi sono innamorato.
e poi ci sono i giardini che ho sognato: ne troverete un’immagine qui e una qui.