le foto di harold chapman
la copertina del libro di barry miles
blurred burroughs
burroughs and brion gysin
corso and the angel
città e altri luoghi
oggi sono stata alla fabbrica di cioccolato

fatti come:
dover prendere un pomeriggio di permesso per motivi familiar-burocratici
aver appena letto che le tavolette biologiche di green and blacks sono fatte dalla icam
hanno congiurato a evocare una falla spaziotemporale in cui, con le vesciche ai piedi causa scarpe quasi nuove, leggevo una notifica del tribunale in un luogo manzoniano mangiando del cioccolato con pezzetti di ginger. (il cioccolato fatto per gli inglesi è molto strano: l’assortimento nella busta dello spaccio prevede ingredienti come menta, butterscotch e mandorle caramellate, tutti da assaggiare per interesse scientifico.)
link del giorno
the soviet bus-stop (via unpopular)
mentre langue
il progetto, emerso da un post di spider il cui link ho dovuto ricercare nella notte dei tempi, di visualizzare i miei percorsi di quindici anni passati (trascorsi, trapassati, morti, defunti) in questa città – come «livello» di una cartina oppure come diagramma astratto; vedo un po’ i percorsi come sentieri scavati, quale più quale meno profondo; ci sono problemi di rappresentazione e di tecnica – nel mentre, dicevo, raccolgo un po’ di materiali a tema.
blogging about maps: moon river
abstract di un seminario in programma in questi giorni presso il dipartimento di geografia dell’università di cambridge psychogeography in theory and practice (dr drew mulholland, glasgow caledonian university):
memory sleeps in the blood. Simply by wandering the streets a
range of emotional responses to the landscape can be triggered with the
sedimentary nature of our towns and cities permitting us on occasion to
glimpse the past through a series of clues. These can include old
shopfronts, street signs, anthropomorphic statues in fact anything that
can act as a conduit to the past. They are the signs and signifiers of
a historical continuum. Wandering gives you a very real sense of
separation, otherness even and with that you become invisible,
observing rather than participating. Could the mapping of memory be in
part facilitated by the personal mapping. Of the external? Based as it would be on experience. Personal cartography connecting the interior and exterior worlds. The past is another country?…..Here’s the map.
progetto di una london pedestrial routemap.
la cartografia come tema di un numero della rivista di poesia switched-on gutenberg
artisti che si occupano di mappe:
maggie mccormick
jeremy wood
città (di vetro)
mappe e labirinti anche in mazzucchelli per paul auster.

milanesità deprimente
oltre ad aver visto a casa nostra di francesca comencini sto cercando di leggere il crollo delle aspettative di doninelli, ma è durissima.
berlino: storia
«mangiare» berlino non è stato facile, per me atavicamente ignara di lingua civiltà e cultura tedesca. non che abbia viaggiato molto, ma la mia passione per le metropoli si è costruita in anni di approcci a parigi e a londra, da lontano e da vicino, e in fondo se mi ritrovassi per la prima volta a manhattan un po’ mi orienterei, dopo averla assorbita per dosi omeopatiche a distanza da tanti anni.
berlino invece l’ho affrontata in pochi giorni partendo da scarni elementi di storia e storia del cinema, studiando come una matta le guide, tappando almeno le più orrende falle letterarie, chiedendo pareri a destra e a manca e compulsando la cartina alla ricerca di un orientamento.
ma che cos’ho trovato, arrivando?
berlino d’inizio 900 e prima: poco, non solo perché c’è rimasto poco, ma perché, semplicemente, non mi è venuto da girare molto a ovest.
berlino dada nella collezione della berlinische galerie, con persino un piccolo video su hannah höch.
berlino di döblin sì, non solo per una casuale ma assidua frequentazione delle orme di franz biberkopf, ma perché una metropoli sarà sempre quel collage di testi e messaggi, e la si percorrerà a piedi per paura di perderne qualcuno, e alexanderplatz non è forse sconvolta dai lavori in corso oggi come nel 1928? (io spacco tutto, tu spacchi tutto, egli spacca tutto).
la moderna magia della sopraelevata funziona ancora e consente di collegare visivamente i pezzi della città, di scavalcarne le lacune, di scoprirne il retro; i grandi archi di ferro ospitano caffè e meravigliose librerie.
e metropolis ormai è a potsdamer platz.
berlino del muro: continuamente, perché abitavamo a due passi dal mauerpark e dunque è stato il primo e l’ultimo posto dove siamo andati e il tram passava sempre dalla bernauerstrasse; perché abbiamo mangiato il pollo in leuschnerdamm; perché abbiamo letto tutti i cartelli commemorativi e cercato la torre di guardia di treptow, e notato tutte quelle cose che non si possono spiegare altrimenti se non riconoscendo che il tal posto era «di qua», «di là» o tragicamente in mezzo (ché al di là del centro stretto, le terre di nessuno tendono evidentemente a restare tali).
e alla berlinische galerie, l’«assurdo diario berlinese» di vedova, 1964: le enormi tavole incernierate, barriere mobili, quinte di un dramma espressionista, ostacoli incombenti, anche se per sua dichiarazione l’inquietudine dell’artista era rivolta alla guerra (a quel
punto storicizzabile), sembrano dire qualcosa di più contemporaneo.
berlino: aria
oggi mi hanno parlato delle nuove barriere alla stazione di cadorna, non ancora attive, ma pronte a far perdere i treni ai pendolari quando entreranno in vigore i biglietti elettronici, a quanto ho capito (non le ho ancora viste). e pertanto ho ripensato a berlino, dopo una faticosa settimana di ritorno al lavoro con concomitante inizio dell’allergia all’ambrosia e alcuni giorni di mal di testa fisso e pulsante nel collo o intorno all’occhio (ritorno del caldo? spm? disgusto per la scrivania? chissà). molto faticoso anche prendere la metropolitana a milano, specie la linea tre che è così profonda – tutto sempre in paragone a berlino, naturalmente.
ben magra consolazione essere, in un certo senso, in una piccola prenzlauerberg milanese: ora ho intuito da dove importiamo le mode: cose che qui albeggiano, per esempio certi curiosi negozi per dj che vendono sia dischi che magliette, o negozi di vestiti ma con oggetti bizzarri e bijoux in conto vendita, o la voga gothic-cute tra emily strange e il giappone, altrove sono voga conclamata, per tutti, in qualche modo non snob (anche se sull’opportunità di girare in folla vestite di rosso e nero, con parigine intonate, conservo le mie perplessità).
ma soprattutto mi pare forse d’aver capito la folgorazione berlinese di chi ci è stato da giovane, magari nei primissimi anni 90: ancora adesso tira aria di fermento e laboratorio sociale e culturale, e a tratti il contrasto tra il nero della storia e i colori di un’utopia quasi realizzata – di convivenza, di pragmatismo, di non rinuncia alla fantasia, di accesso a una vita urbana civile – è così pronunciato da essere commovente (o forse ero particolarmente stanca nel momento in cui, dopo essere stata delusa dall’east side gallery e aver fatto a piedi l’oberbaumbrücke, mi sono ritrovata per la prima volta a kreuzberg e mi hanno dato un tè biologico, e sono stata lì a osservare l’idillico via vai di bici, cani e gente che mangia per strada anche se piove un po’).
(continua)
swoon
leggendo un vecchio numero di swindle mi sono appassionata alle xilografie e cutout a destinazione stradale di swoon.
altre immagini su flickr, obvious diversion, lex’s folly, visualresistance.org. eccetera.
street art blog del wooster collective.
fatti su berlino
– la cosa più sorprendente di berlino è la mancanza di barriere all’ingresso nella metropolitana.
– nonostante ormai ci vendano le magliette di russendisko, il kaffee burger è un locale meraviglioso.
– è impossibile avere una guida aggiornata su berlino.
– al momento pare impossibile pure vedere gli espressionisti a berlino: contrariamente a quanto dicono le guide (v. sopra), né la neue nationalgalerie né la berlinische galerie espongono una collezione stabile.
– a berlino c’è un numero imprevedibile di negozi di dischi (e quando dico dischi, intendo di vinile). tanto che mi sono intimorita e non sono entrata in nessuno.
– per colpa dei mondiali, nelle mie foto la fernsehturm è coperta di frivole sagome rosa che la trasformano in un pallone. mi trovo dunque costretta a idolatrare l’immagine di ryuji miyamoto scattata dall’interno del palast der republik e attualmente esposta alla mostra berlin-tokyo / tokyo-berlin.