«mangiare» berlino non è stato facile, per me atavicamente ignara di lingua civiltà e cultura tedesca. non che abbia viaggiato molto, ma la mia passione per le metropoli si è costruita in anni di approcci a parigi e a londra, da lontano e da vicino, e in fondo se mi ritrovassi per la prima volta a manhattan un po’ mi orienterei, dopo averla assorbita per dosi omeopatiche a distanza da tanti anni.
berlino invece l’ho affrontata in pochi giorni partendo da scarni elementi di storia e storia del cinema, studiando come una matta le guide, tappando almeno le più orrende falle letterarie, chiedendo pareri a destra e a manca e compulsando la cartina alla ricerca di un orientamento.
ma che cos’ho trovato, arrivando?
berlino d’inizio 900 e prima: poco, non solo perché c’è rimasto poco, ma perché, semplicemente, non mi è venuto da girare molto a ovest.
berlino dada nella collezione della berlinische galerie, con persino un piccolo video su hannah höch.
berlino di döblin sì, non solo per una casuale ma assidua frequentazione delle orme di franz biberkopf, ma perché una metropoli sarà sempre quel collage di testi e messaggi, e la si percorrerà a piedi per paura di perderne qualcuno, e alexanderplatz non è forse sconvolta dai lavori in corso oggi come nel 1928? (io spacco tutto, tu spacchi tutto, egli spacca tutto).
la moderna magia della sopraelevata funziona ancora e consente di collegare visivamente i pezzi della città, di scavalcarne le lacune, di scoprirne il retro; i grandi archi di ferro ospitano caffè e meravigliose librerie.
e metropolis ormai è a potsdamer platz.
berlino del muro: continuamente, perché abitavamo a due passi dal mauerpark e dunque è stato il primo e l’ultimo posto dove siamo andati e il tram passava sempre dalla bernauerstrasse; perché abbiamo mangiato il pollo in leuschnerdamm; perché abbiamo letto tutti i cartelli commemorativi e cercato la torre di guardia di treptow, e notato tutte quelle cose che non si possono spiegare altrimenti se non riconoscendo che il tal posto era «di qua», «di là» o tragicamente in mezzo (ché al di là del centro stretto, le terre di nessuno tendono evidentemente a restare tali).
e alla berlinische galerie, l’«assurdo diario berlinese» di vedova, 1964: le enormi tavole incernierate, barriere mobili, quinte di un dramma espressionista, ostacoli incombenti, anche se per sua dichiarazione l’inquietudine dell’artista era rivolta alla guerra (a quel
punto storicizzabile), sembrano dire qualcosa di più contemporaneo.
Belle belle note, me le segno :o)
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io già faccio insani progetti per il ponte di sant’ambrogio.
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