antefatto: circa un mese fa ho messo da parte il fascicolo di casa più «il monolocale», 1974, con l’intento di fare qualche scansione.
fatto: poco dopo ho letto qua dell’alice illustrata da ralph steadman e me ne sono infatuata. su ebay c’era pure l’edizione dell’86 con alici+snark a un prezzo appetibile ma ho scordato l’asta, andata peraltro deserta. c’è però stata, come raramente accade nella vita ma come a volte accade nello shopping, una seconda occasione, e qui ho puntato l’ebay alert. per la cronaca, anche stavolta il libro lo volevo solo io; è arrivato ieri (o, diciamo, è tornato ieri: risulta stampato dalla new interlitho a milano).
perché siamo qui stasera: per ammirare una copia dell’alice di steadman nell’edizione italiana (milano libri 1967) mollemente adagiata sul tavolino di un monolocale del 1974, vicino a 3 pacchetti di marlboro.
getting over the 20th century (a luke haines update)
avevo un po' perso le tracce di luke haines, leader degli indimenticati auteurs, finché non ho letto che il suo volume autobiografico bad vibes. britpop and my part in his downfall era una lettura amena (e lo è – tipica scrittura britannica caustica e distaccata verso qualunque cosa, incluso l'autore; aneddoti da insider sulla scena inglese, ma anche capacità di sguardo più ampio sull'epoca 87-97; ora esce il secondo volume, post everything).
ho colto l'occasione per accostare al mio scaffalino di 3 album degli auteurs il primo disco dei black box recorder (trio dove non canta lui ma una ragazza), england made me – che nonostante la tipica influenza air da fine anni 90 si difende bene – nonché il recente album solista 21st century man.
sarò di parte, ma ne concludo che il mio coetaneo non delude le aspettative. potrei persino completarne lentamente la discografia, visto che mi mancano ancora 5 o 6 album.
faccio però fatica a immaginarmi che razza di libro sia questo: tim mitchell's truth and lies in murder park" (benben press) journeys into the mythology of the british singer-songwriter luke haines to conjure a fictional narrative with fragments of biography… mah.
una settimana di festival
una settimana fa, attirata dal kernel festival di musica elettronica e immagini digitali, lasciavo speranzosa la metropoli per andare a esplorare uno dei comuni dell'interland (il più infiltrato dalla camorra, dicono sempre alla radio). bella la villona neoclassica che faceva da schermo alle proiezioni luminose, decisamente protagoniste (questa, per esempio, vista dal vivo non era affatto male) rispetto a esibizioni musicali non particolarmente memorabili – almeno fino a mezzanotte e mezzo, nella notte poi non so. quello che mi ha deluso è che il festival che doveva svolgersi «nella villa e nel parco» era invece confinato in un praticello delimitato da un lato dalla villa stessa e su tre lati da abominevoli transenne blu che, oltre a impedire di infrattarsi nei boschi come secondo me presuppone un festival di musica elettronica, toglievano completamente la visuale. niente da fare, la brianza ha colpito ancora (commento dei brianzoli stessi).
martedì 5 invece soltanto le zanzare del parco sempione hanno tentato di funestare il bellissimo concerto degli arcade fire, mentre l'arena pavesata di striscioni con l'assurdo titolo del milano jazzin' festival tentava di accogliere l'ambizioso suono (che su disco rischia sempre il troppo pieno e a volte mi stufa) di una band che ha passione e idee da vendere. quanto ai gruppi spalla, ho sentito solo la coda dei cloud control e il concerto gradevole dei white lies, ma gli arcade fire sono un'altra categoria (nel lessico famigliare, la categoria «concertone»). ottimo stare un po' lontani sulle gradinate di pietra esalante calore, in modo da vedere bene il palco con gli schermi per le proiezioni in alto, le 2 batterie e i componenti che passano da uno strumento all'altro. scaletta (+ crown of love, pezzo che non mi piace eseguito su richiesta di uno dei white lies): non suonano certo ore – del resto, hanno fatto 3 dischi – ma la sequenza risulta intensa, con appropriato effetto catartico su rebellion, e ti dispiace veramente quando finisce. suggestione canadese, régine mi pareva vestita un po' da pattinatrice, con un abitino corto di paillette oro e stivaletti bianchi (?).
ieri sera, cari che non siete venuti al concerto di lou reed, vi siete persi solo un concerto senile e noioso – irriconoscibile anche la voce del nostro, molto incerta. la band non è risultata coinvolgente neanche nei momenti migliori; nei peggiori, batteria dalle tentazioni progressive e violino che ancora un po' ci suonava un minuetto di boccherini. nessuno più di me apprezza le esecuzioni poco ortodosse, ma qui non ha funzionato: quasi tutti i pezzi mi sono sembrati trascinati e allungati in esecuzioni assolutamente tediose.
ho apprezzato smalltown introdotta da un commosso (e/o un po' brillo?) ricordo di warhol, ho tollerato venus in furs cercando di non pensare alle incendiarie esecuzioni caleiane, sto tentando di dimenticare la sequenza acustica di sunday morning e femme fatale, imbruttite e svuotate. la cover di mother di lennon l'ho trovata imbarazzante.
la scaletta la trovate sul sito degli esperti italiani, che evidentemente vivono in una dimensione parallela non solo a noi non esperti, ma anche agli intenditori amici miei (sono d'accordo solo sull'esecuzione di sweet jane, anche se, ripeto, non ero andata in cerca di consolanti esecuzioni di pezzi noti.)
la medicina, ovviamente, sarebbe partire per uno di questi luoghi ameni.
what is vintage in your book?
sarà che da qualche settimana non vado in libreria (a volte le librerie mi fanno paura) ma non avevo in mente la nuova collana di tascabili del gruppo rizzoli. a margine delle pertinenti critiche che ho letto oggi in merito, aggiungerei che il nome vintage potrebbe pure essere giustificato nel senso di libri «d'annata», magari non ancora «invecchiati» ma destinati a restare (poi dare un nome inglese a una collana di libri italiana a me fa ribrezzo, ma sarò io).
la lettera v, però, mi ricorda molto il logo che aveva negli anni 90 vintage, casa editrice inglese proprio di paperback (dei marchi letterari del gruppo random house).
(v per v, perché non chiamarla «vendetta», la collana)
concerti estivi: il programma al momento prevede
2 concerti che capitano nella stessa settimana e nello stesso luogo (distante non più di 2 chilometri da casa mia): arcade fire di martedì e lou reed di venerdì.
va be’, pantofolaio (prevendita compresa) ma intensivo.
jardin sur le toit
feira da ladra
al mercatino di lisbona in un giorno di sole
(sto mettendo qualcosina su flickr – solo foto di iphone stavolta! ma l'hdr è il mio nuovo migliore amico, forse)
sabato sera al miami
oltre al freschino dell'idroscalo, con un po' di fanghiglia che faceva festival nordico, e alla gradevole sensazione della presenza di tanta gioventù sveglia (che, era piacevole immaginare, il giorno dopo sarebbe andata a votare ai referendum) ho apprezzato la scoperta degli iori's eyes che mi sembrano una band da seguire – il primo pezzo loro che ho sentito era questo, ma non bisogna lasciarsi ingannare dalla tastiera così, per citare loro, 1982, perché le canzoni risultano dotate di un loro spessore versatile, come si può sentire da un live radiofonico acustico.
piaciuta meno la scelta dei concerti di punta dei due palchi (casino royale e marco parente) che ho trovato un filo retrograda per questo tipo di festival (anche se coerente con la varietà del programma).
in realtà non ho poi visto granché, vagabondando fra i 2 palchi per qualche ora, ma parevano interessanti gli LNRipley di cui mi sono poi ritrovata un'intervista nel volume londra zero zero comprato al banchetto dell'agenzia x. conto di leggiucchiarlo per lumi su grime e dubstep; per ora ne ho evinto che nel terzo millennio si può ancora planare dall'italia a londra e atterrare in uno squat, ma sarà a hackney.
the tree of life di terrence malick
sincretismo americano: potrebbe mai un film di kieslowski contaminarsi con koyaanisqatsi e persino con jurassic park (o se preferite avatar)? evidentemente sì.
un film molto libero, molto lungo, molto bello in ogni immagine, molto commovente per l'amica m. che è mamma, per me anche un po' ripetitivo e in ultimo non del tutto soddisfacente: non angosciante né catartico. è… estatico (ma in una maniera un filino stucchevole, no?).
direi che mi è piaciuto ma non l'ho amato (a parte il ragazzino riottoso, quello sì – c'è dentro anche un po' di stand by me, chi si ricorda?)
ancora sulla campagna elettorale della moratti a milano (purtroppo)
i suoi manifesti proclamano «con la sinistra ritorna l'abusivismo dei rom», la lettera arrivata ieri ai cittadini (maschi, ché quella per le femminucce è diversa, tutta una sviolinata sulle politiche a sostegno della famiglia) dice che pisapia vuole «dare le case ai rom». insomma, a costei i rom non piacciono né nomadi né stanziali. eccoli come sempre eletti a rappresentare la nostra cattiva coscienza.