les choses

non ho intenzione di parlare del libro di perec, ma è da un po' che penso al rapporto che si ha con gli oggetti e in particolare a come la «vita digitale» lo modifichi.

negli ultimi anni mi è successo di avere a che fare con moltissimi oggetti (fare/disfare case e/o personal belongings di qualcuno; shopping abbastanza compulsivo di cose nuove, forse causa reazione alle immersioni tra le vecchie, oltre a sufficiente disponibilità di reddito ed esposizione via web a velleitarismi di ambito, uhm, lifestyle) e parallelamente di cominciare a usare la fotografia digitale, vederne molta via internet ed essere attirata morbosamente dai siti che osservano cose (eg simply breakfast, what did you buy today, flickr in generale, ma soprattutto e prima di tutto heavy little objects: cercando il link per questo post ho scoperto che è ricominciato! sì!)

nel complesso, ho una maggiore attenzione alle cose nuove legato all'apprenderne l'esistenza in rete, e una maggiore attenzione alle vecchie legato a tentazioni di collezionismo. (entrambe collegate a un bisogno di evasione «oggettivizzato», una sorta di perversione, forse? o di «ritorno» dal websurfing: da una dimensione immateriale a quella materiale che ci contiene, e penso di non essere l'unica a sentire la frattura.)

non ricordo bene perché ho preso la piccola nikon, circa quattro anni e mezzo fa, ma credo sia stato per poter produrre facilmente immagini da mettere sul blog e forse anche perché speravo che la semplicità d'uso (immediatezza, portabilità, libertà di scatti infiniti) sbloccasse l'imbarazzato/insoddisfatto rapporto con la fotografia che – soprattutto causa imperizia tecnica –  avevo fino a quel momento.
un risvolto imprevisto è stato la tentazione di guardare qualsiasi oggetto quotidiano «con un obiettivo», forse quello di trovare il suo valore aggiunto (estetico, sentimentale), forse di stabilire un distacco che favorisca la comprensione, l'assimilazione (per me funziona appunto così, col distacco – che ci vuoi fare).

la tentazione di fermo immagine-riproduzione riguarda non solo ma soprattutto le cose vecchie. seguono due esempi che mi stanno un po' ossessionando, in cui mi pare di aver ottenuto «qualcosa» (non una buona o bella foto, ma di aver estrapolato qualcosa dall'oggetto).

qui abbiamo: un oggetto ritagliato fino a essere irriconoscibile, un particolare più importante del'oggetto da cui viene e che sembra rappresentarne perfettamente l'epoca (illusione), un oggetto sfocato appiattito su uno sfondo sfocato fino ad alterare la percezioni delle superfici (profondità e grana).

qui abbiamo: un oggetto nuovo eppure vecchio (e viceversa), osservato a prescindere dalla sua funzione originaria, un manufatto giustapposto per caso a due elementi vegetali, una superficie dalla funzione sufficientemente astratta da non essere più il davanzale di una finestra, una macchia di colore (vernice della persiana) non degna di osservazione se non ritagliata così dall'obiettivo. esaltazione di filamenti, macchie, grana.

come se new york non fosse una visione sufficiente

in una settimana sono andata 3 volte al cinema, c’era il new york film festival.
a vedere, nell’ordine (retroverso nel tempo, crescente di follia):
– la versione restaurata di ashes of time di wong kar wai: si scopre che la proiezione è presso l’erede dello ziegfield theatre (storia), con i suoi velluti rossi, e vi presenzia il regista con christopher doyle e brigitte lin. tiè.
sulle canzoni sconce giapponesi di oshima, copia 35mm nuova al walter reade theater, lincoln center. olé.
– la versione restaurata di lola montés di ophüls c’era anche al nyff, ma l’abbiamo vista poi al film forum (fanno una tenitura di 20 giorni). abbagliante, supera le scarpe rosse per sfarzo e grottesco.
c’è un articolo sul restauro sull’american cinematographer di settembre, ma non è online.

milano in settembre

presenta ormai una infruibile stratificazione di panoramica dei film di venezia/milano film festival sempre più esteso/festival musicale MITO/ripresa di concerti vari.
però non mi sono scoraggiata e ho visto:
il primo giorno d'inverno di mirko locatelli e ballast di lance hammer
fujian-blue di weng shou-ming e slow mirror dei bucharov (grazie al cielo per i titoli in «inglese internazionale»)
and now for something completely different dei monty python (contenente lo sketch sulla barzelletta che uccide)
il concerto dei killing joke che prevedibilmente era bello
il concerto degli afterhours che meno prevedibilmente – per me – era bello (su afterhours e scerbanenco: vedi)

ah, dopo terry gilliam è arrivato pure vincent gallo, che  mi piace sempre di più dopo averlo visto live (ma che folla c'era… perché?), e persino dopo aver visto the brown bunny, forse per la tenerezza che mi fa l'esistenza di un film così improponibile, con un titolo del genere (da vedere, però, almeno il trailer).
si potrebbe anche approfondire l'argomento dibattendo non sulla famigerata scena di brown bunny, ma magari se sia vero che, come dice un commento di youtube, vg sembra il figlio di david lynch e woody allen; se la sua sfida al senso dell'umorismo americano – v. il sito, le dichiarazioni politicamente scorrette, le bizze da star – abbia un senso; se gli effervescenti aneddoti autobiografici abbiano un fondamento o no… non adesso però, perché ho festeggiato l'equinozio d'autunno pigliandomi un'infreddatura colossale e desidero solo raggomitolarmi da qualche parte (è per questo, in realtà, che mi do a in treatment).
vincent gallo mi ricorda un'altra faccia inquietante, quella di stefano cassetti.

in treatment

è una serie che io ovviamente devo guardare, non perché sia hbo né per il suo valore di esperimento televisivo à la 24, bensì perché contiene la maggior quantità di gabriel byrne che si sia mai vista (più dei film in cui faceva il protagonista, a occhio e croce).
e la serie è guardabile, come no, ma del fatto che ci abbiano abbinato un forum di psicologia, che dobbiamo pensare? evidentemente che la tv ci tiene a proporsi come guida esistenziale/morale – il che già sarebbe abbastanza orribile – proprio dopo aver perso nei contenuti qualsiasi valore culturale/pedagogico… incomprensibile, no?

sulla donna e la siringa,

lying figure with hypodermic syringe, bacon dice – intervistato da melvyn bragg per la bbc nell’85 –che non pensava specificamente alla droga ma voleva inchiodare la figura al letto («mica potevo usare un chiodo»).

Un paio di giorni dopo aver visto la mostra di cui sotto, ho portato a casa dal libraccio un piccolo  carico di libri SE, tra cui luogo eventuale di ingeborg bachmann, che – a parte rientrare in eventuali, appunto, bibliografie berlinesi – dice in uno dei suoi spaccati «ospedalieri»:

L’infermiera di notte ha daccapo indovinato ogni cosa, conosce questa storia del balcone, interviene come sa e pratica una puntura che passa da parte a parte e rimane infilzata nel materasso, perché non ci ci possa più alzare.

(trad. di bruna bianchi, con 13 disegni di günther grass, milano 1992)

bacon a palazzo reale

ieri, ultimo giorno della mostra e per noi di turismo culturale milanese, fingendo di essere ancora in vacanza.
mostra bella, che fa venir voglia di andare subito a dublino dove lo studio londinese di fb è stato trasportato, alla hugh lane gallery.  bel documentario della bbc.  non troppi quadri, per lo più da musei lontani e collezioni private.  la questione del vetro: «I feel that, because I use no
varnishes or anything of that kind, and because of the very flat way I
paint, the glass helps to unify the picture. I also like the distance
between what has been done and the onlooker that the glass creates; I
like the removal of the object as far as possible».  la struttura geometrica delineata come sfondo di quasi tutti i dipinti, come un palcoscenico (allora il vetro ne è il quarto lato) o un simulcro della prospettiva classica da infrangere sistematicamente.
non trovo online lo scritto di sgarbi, mi piaceva, specie quando dice dell’influenza filosofica di bacon (al di là dello specifico artistico), affine a quella di beckett.

risatina:  la frase del dépliant di palazzo reale
«La sua opera, dai piccoli intensissimi ritratti ai monumentali trittici, risulta contraddistinta da valenze simboliche del tutto personali, ricche di allusioni cinematografiche, letterarie e religiose […]»
ne ricalca una del dépliant della mostra di lugano del 1993:
«Dai piccoli intensissimi ritratti ai monumentali
trittici, la sua opera è contraddistinta da un simbolismo del tutto
personale con di allusioni cinematografiche, letterarie, religiose.»
ma del resto il curatore è lo stesso – e neppure io butto via niente…

post-movie stress disorder

visto batman, il cavaliere oscuro, e non ho molto da dire che già non dica la recensione del new yorker.
(da cui si apprende anche che i panorami di gotham city sono girati a chicago – attenzione, è vero che in alcuni punti vengono le vertigini!)*
il senso di fare un film così lungo e incasinato mi sfugge; l'atmosfera da film catastrofico predomina sui pur apprezzabilissimi dilemmi morali e bisogna aggrapparsi a heath ledger, michael caine e gary oldman per resistere fino in fondo.

alla collega c. non è piaciuto in quanto l'eroe che «è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo» e rapisce gente all'estero le sembra proprio un agente della CIA.

in questa prima parte dell'anno ho visto troppo poche commedie – forse solo sex and the city, che non ho particolarmente apprezzato, forse anche per lo straniamento del vedere le protgoniste così invecchiate (ehm, suppongo di essere invecchiata altrettanto anch'io, dai primi anni della serie).

ps commenti in moderazione fino al 19, ciao!

* pare anche che alcune sequenze siano state girate alla Battersea Power Station: vedi, e pure qua.