le pulle di emma dante,

Le Pulle foto Giuseppe Di Stefano

visto sabato scorso, è stato l'ultimo spettacolo del crt al teatro dell'arte (nel palazzo dell'arte di milano).

ne avevo sentito parlare ma non ho trovato informazioni esaurienti su questo cambiamento di sede (troppo spesso paludosi e poco utili i siti italiani, specie quelli istituzionali), tranne quelle derivate una conferenza stampa del 2008 sul ritorno della gestione del teatro alla triennale, per fine locazione, e su una futura nuova sala per il crt in piazza abbiategrasso, ovvero vicino al loro storico salone di via dini (v. trafiletto di repubblica).

come lo spettacolo, il sito di emma dante è pieno di bambole assai inquietanti, andate a vedere.

 

quanto ad avatar

certamente sono stata affascinata dalla foresta e dalle montagne sospese (particolare vulnerabilità dovuta al atto che soffro un po' di vertigini), ma mi è sembrato tutto troppo derivativo da principessa mononoke di miyazaki.  prendere principessa mononoke e aggiungere elicotteri e marines non è mica una buona idea.
molto efficace invece la spiegazione del collegamento fra tutti gli esseri viventi, figurato qui sotto forma di una specie di sistema nervoso che giustifica anche il «potere dei capelli» ripreso dalla tradizione dei nativi americani.

non pensavo che la morte di uno stilista mi avrebbe addolorato così

The Face McQueen

ma il lavoro di mcqueen era speciale: una continua riflessione sul corpo – le sue armature, le sue protesi – attraverso la storia del costume; la tecnica della più alta sartoria usata per materializzare un immaginario molto elevato, di una bellezza inquieta e aliena.

Bjork         Aimee 

il vertice forse è nelle immagini della sua collaborazione con il fotografo nick knight (fan di bjork: vedere anche la performance a fashion rocks 2003).

S_S_2004

per rohmer,

morto l'altroieri, mi son detta: mi piacerebbe fare un post di immagini delle notti della luna piena… be', c'è già.
allora mi copio finalmente il proverbio che non ricordo mai alla lettera: qui a deux femmes perd son âme, qui a deux maisons perd sa raison.

e non dico altro perché sopraffatta da un affetto immenso per tutti i suoi film (o forse per la me stessa degli anni 80/90 che non ne perdeva uno?)

polka dots are a way to infinity

Kusama1 quel che ricordavo di yayoi kusama dalla mostra tokyo-berlin/berlin-tokyo mi piaceva, ma con un residuo dubbio di decorativismo. adesso che ho visto la mostra al pac, invece, la molteplice natura dei pois colorati (pop art e carineria giapponese da un lato, ricerca metafisica e metabiologica dall’altro – perché i pois di kusama sono tridimensionali) mi è perfettamente chiara. del resto è il pattern più infinitamente riproducibile e quel qualcosa di organico che si porta dietro dalle rane e dal morbillo non smette di inquietare.

in mostra c’è qualcosa di storico (anche collage degli anni 70), 2 cose degli anni 90 (tentacoli in giallo, solitude of the earth – le immagini migliori forse su designboom), ma per lo più opere molto recenti, 2008-2009: quadri delle serie dot obsession, infinity nets (che sono molto materici e a vederli riprodotti non rendono), cosmic space, e soprattutto la meravigliosa installazione aftermath of obliteration of eternity; come sculture, flowers that bloom at midnight e due zucche gialle. le zucche mi sono sembrate le meno valorizzate dall’allestimento (certo, altra cosa sarebbe vederle… così).

ps i pois potrebbero anche essere the way to the lichtenstein exhibit di cui sono apparsi in questi giorni i manifesti (milano triennale 26 gennaio-30 maggio)

Since yesterday2 nb non possono che tornare in mente le strawberry switchblade, amatissime in giappone

i film del decennio fissati con l’oscura londra ottocentesca

si concludono con lo sherlock holmes di guy ritchie, che si lascia vedere con piacere e fin dalla caratteristica di proporre alcune scene 2 volte, a diverse velocità o da diversi punti di vista, denuncia il suo carattere di pastiche citazionistico-postmoderno (ambito in cui io continuo a sguazzare avendoci imparato a nuotare negli anni 80 – il che gli conferisce ai miei occhi, paradossalmente, una certa gustosa autenticità) ma poi si risolve  in un film d'azione senza troppe complicazioni (neppure il classico holmes tossico), quindi adatto anche agli undicenni o giù di lì, numerosi in sala.
wikipedia ci dice tutto sia sul personaggio sia sul film, dunque non è che dobbiamo star qui a fare faticose ricerche o sfoggio di erudizione; certo, ognuno ha i suoi holmes preferiti e, dal punto di vista dell'interprete, io ho sempre avuto un debole per jeremy brett.
nel complesso, ho un po' rivalutato robert downey jr (avevo un pregiudizio datato 1992, per via di charlot) che entra peraltro nel novero degli holmes macchiettistici, non dico alla michael caine ma quasi, e soprattutto mi sono crogiolata nelle scenografie.
infatti quanto a materia per sognare (perché di questo si tratta) una cupissima londra vittoriana, il film fa il paio perlomeno con from hell, il david copperfield di polanski e sweeney todd di tim burton; il tower bridge in costruzione è quasi copiato dal ponte sulla manica degli extraordinary gentlemen di alan moore.
ma soprattutto, dobbiamo parlare degli stivali indossati da rachel mcadams nella scena finale: sono identici ai miei ma sembrano avere un tacco leggermente a rocchetto, cioè migliore. ora, se non sono belstaff, perché ci somigliano tanto? se lo sono, perché hanno quel tacco lì? la questione è grave.

parnassus

The-imaginarium-of-doctor-parnassus-968665l-imagine  si è rivelato il film di gilliam più riuscito da anni (ci sarebbe da riflettere sul perché i fratelli grimm e tideland, benché vedibili, nella sostanza hanno fallito – mi sa che il fantastico di gilliam non ha bisogno del rigore [o della serietà] della fiaba, deve affastellare narrazioni più farraginose e mitologiche e caotiche e umoristiche). 

parnassus è strapieno d'ironia (e parodia dei monasteri tibetani dei film d'azione), ma ti riporta fra i barboni della leggenda del re pescatore e delle dodici scimmie, sul palcoscenico di münchausen, e in particolare per me funziona perché nella mia immaginazione ci sono la battersea power station e le animazioni dei monty python e tom waits, quindi entrare in sala (sia pure il prosaico cinema gnomo di milano) è come varcare lo specchio dell'imaginarium.

the imaginarium of doctor parnassus film locations

gilliam about inspiration for the imaginarium (It probably began with Pollock's
Toy Theatres
in London. I remember when I first came here there was
a shop – and it still is here. They do these Victorian toy theatres, which
are cardboard cut-out ones and they have always intrigued me. In fact for
the first go at it, I went down to the Museum
of Childhood
here in London. I knew they had several old ones there,
so I just took some photographs and fiddled with them in Photoshop.)