una settimana fa ero a ferrara

alfestival di internazionale: dopo l’emozione del primo nebbione della stagione (alle nove e mezzo di mattina all’altezza di altedo), ho potuto aggirarmi senza calze per il centro, sedere per terra a sentire gipi, vedere le foto di zizola, annusare il deserto del primo pomeriggio sulle mura (i ferraresi non escono il primo pomeriggio, poi però vengono fuori per fare shopping), fare una coda da concerto rock per l’incontro con le scrittrici, tagliare il traguardo della cena col soufflè di zucca e la salama da sugo.
oggi invece lavatrici, mercato, un po’ di sonno. un po’ più freschino.

bollettino di settembre

allergia all’ambrosia sotto controllo.

sindrome da cenerentola al lavoro nuovo: nell’azienda x ci sono le buste intestate, nell’azienda y (dello stesso gruppo) no; nell’azienda x ci sono i post-it a libera disposizione, nell’azienda y c’è un surrogato che sta sottochiave in un armadio; nell’azienda x aggiornavo di mia iniziativa le tariffe dei collaboratori e nessuno mi diceva niente, nell’azienda y bisogna chiedere il permesso a uno che dice sempre di no; nell’azienda x c’è un archivio con etichette e un certo ordine, nell’azienda y c’è una stanza con tutto alla rinfusa (e non si prende nessuno per mettere a posto perché non è una priorità); nell’azienda x c’è la sala riunioni prestigiosa con tappeto persiano, nell’azienda y un luogo buio e polveroso, con le sedie scanchignate, usato soprattutto per mangiare durante la pausa.
(però c’è l’orario elastico, i buoni pasto più alti, un po’ di silenzio e il mac sulla scrivania, tiè)

mentre i cinghialotti le prendono di santa ragione dagli all blacks, a milano si aspettano i film di venezia.

in occasione del primo maggio

il comune di milano ha prodotto un simpatico spot da proiettare nelle sale cinematografiche, dove immagini di repertorio di vari lavoratori all’opera sono accompagnate da una zuccherosissima poesia di tagore sulla nobiltà del lavoro e della fatica.  devo dire che la relazione di tutto ciò con il giorno dei diritti dei suddetti lavoratori mi rimane oscura.

ieri volevo uscire

e andare alla mostra consigliata da susner, ma quando sono tornata a casa dal parrucchiere erano cominciate le partite del sei nazioni su la7. 
rugby il sabato pomeriggio: una specie di emblema del fine settimana confortevole (a vederlo in tv, ovvio – la principessa anna, a zero gradi in tribuna nel maltempo di edimburgo, aveva l’aria infreddolita sotto il cappello di pelo e la sciarpa tartan).

tra natale e capodanno

visto grizzly man, un altro film di herzog su un personaggio eccentrico e dedito a imprese folli, tra ammirazione e lucida distanza.
dormito al freddo. (tormentone pseudoverdiano: «amami al freddo».)
fotografato gatti.
brindato con 17 parenti.
provata la febbre un numero imprecisato di volte.
ricevuto 1 capo patagonia, regalati 2 capi patagonia.
ricevuti e accesi 2 lumini natalizi.
combinate cene con 3 coppie di amici.
riattivata la vecchia penna stilografica (le cartucce sono vecchie e l’inchiostro fa una strana puzza.)
letto metà del libro di christa wolf.
aggiornato il triste schema di excel che fa da rubrica perché si riesce a stampare in una pagina sola.
imparato a distinguere arturo martini da alberto martini. (scoperto che il padre del secondo fu insegnante del primo.)
fatte analisi del sangue.
trovata nebbia a bollate.
preso il tè con miss brodie.
visto il film di monicelli dove tatti sanguineti fa il generale fascista.
comprato albo grande di dylan dog, e ora me ne vado a letto a leggerlo. 37.2.

segue:
fatti biscotti allo zenzero, ma con farina integrale e senza uova: così così.
in fuga dai cibi natalizi: mangiato giapponese 2 volte e riso in bianco 2 volte.
sconfitta grossa zucca (una classica Marina di Chioggia?)

ah, la scuola

direi che è per il post di ieri di superqueen, alle prese con alti e bassi della vita dell’insegnante, che mi è venuto da ripescare l’unica riflessione rimasta sulla mia lontana esperienza di supplente (viene dal retro di una fotocopia dell’orario delle lezioni stampato con una stampante ad aghi, a voi la datazione).
non molto edificante, forse, ma allora mi parve d’aver capito qualcosa.

non lo sanno, ma il loro disinteresse può essere crudele.   d’altro canto è importante che mantengano un punto dentro gli occhi dove io non posso arrivare, la capacità di di-vertirli o anche di chiuderli, magari proprio in classe.   a un sedicenne sentire se stesso è sufficiente, come convincerlo che qualcosa di più importante gli si può (se poi si può) inviare dal di fuori.   dalla cattedra, da dove bisogna stare attenti alle ragazze del primo banco (diligenti e linguacciute) ma soprattutto alla fila in fondo, proprio di fronte a me: da là, dove sono i lunghi ricci capelli chiari di a. e s., arriva simpatia epidermica ed occasionalmente strafottenza intellettuale, il senso dell’umorismo più attraente ma anche l’indipendenza distratta che è l’altra faccia della loro spensieratezza.   s. specialmente sorride, e non sa che questo mi autorizza a pensarlo diverso da come è.  ma si accorgono, comunque si accorgono, che nel maggior sapere del professore potrebbe esserci qualcosa di prepotente, che non deve avere niente a che fare con loro.  per istinto, non si fideranno.   così devono essere,  non lo devono sapere, che per me è più importante che per loro.  devono anche essere liberi di rovinare tutto, di mostrare che non gliene importa niente proprio quando sono arrivata a pensare che sono intelligenti.   più di tutto bisogna che difendano (anche se non lo sanno) il diritto a buttare via l’ora che io voglio rendere utile, a litigare con me per spendere ciò che io voglio risparmiare: allegri e prodighi di tempo, perché gli piace che passi, sanno che c’è di meglio, poi.  per fortuna non si accorgono che io non lo so più.

il refuso diffuso

scontrandosi con la mia pedanteria ha rischiato di rovinarmi una rara e peraltro soddisfacente spedizione di shopping culturale: la lucky red homevideo scrive «johnny deep» sulla copertina del dvd di dead man (che sul retro diventa «dead men»); l’einaudi mi squalifica l’agognata edizione tascabile (si fa per dire) dei passages di benjamin stampando su una quarta «art nauveau» e invertendo le didascalie delle foto dei due volumi. ora ogni volta che la guardo (per la verità anche per distrarmi da più gravi questioni) mi scappa un sospirone.