se un bel giorno un signore di Pigra
si opponesse ad andare in montagna
per gli amici sarebbe una lagna
quell’onesto signore di Pigra.*
* appartato borgo della val d’Intelvi.
se un bel giorno un signore di Pigra
si opponesse ad andare in montagna
per gli amici sarebbe una lagna
quell’onesto signore di Pigra.*
* appartato borgo della val d’Intelvi.
è una delle prime cose che mi sono venute in mente quando il giardiniere ha proposto di parlare del mondo vegetale il lunedì. perché mi è sempre piaciuto che proprio l’inizio della nostra modernità – del ferro e del cemento e delle luci come oggi li conosciamo – esplicitasse nelle forme dell’arte un rapporto con la natura, una rielaborazione dell’organico. ci ho ripensato anche un po’ di tempo fa leggendo un post di cadavrexquis che indagava i motivi di una sua predilezione per la severità e l’essenzialità dell’architettura dei paesi dell’est (che io posso trovare interessante per motivi culturali, ma non mi piace, a differenza di altre architetture razionaliste e funzionali) contrapponendola all’architettura «delle curve» di gaudí e hundertwasser. anche a me sembra che lo stupore e l’eccesso di ornamenti non abbiano a che fare con la buona architettura. ma una casa come la pedrera, invece: che meravigliosa affinità con il corpo e con i meandri della nostra testa. e nelle arti applicate liberty, che geniale capacità di riconoscere e possedere le linee dell’esistente.
è stato, tra l’altro, un po’ un avvicinarsi alla storia, a dove succedono le cose, quelle di cui parlano i giornali.
nei primi anni, all’epoca dell’università, vedevo piazza fontana senza fontana, perché c’erano delle transenne al centro della piazza per dei lavori senza alcuna relazione, immagino, con la bomba alla banca dell’agricoltura. però per me la parziale inagibilità della piazza (la quale oltretutto è stata sempre sovrastata da un muro diroccato – solo da poco sono cominciati lì, i lavori – che, nel mio immaginario apocalittico, collegavo ai bombardamenti della guerra) in qualche modo funzionava da reminder dei fatti del 69.
più tardi, quando la fontana era già tornata visibile, con p. ho cominciato ad andare alle manifestazioni del ponte per il 15 dicembre, una serata fredda simbolo di un’ostinazione a ricordare e capire irriducibile. ancora più fredda ieri sera (non sui selciati del centro ma nel capannone del leoncavallo) eppure piena di senso oltre che di sciarpe di lana, e non di recriminazioni ma di motivazione.
[era la terza volta che vedevo les anarchistes e la prima volta che vedevo dario fo – il che sarebbe sufficiente a farmi sentire «giovane» almeno quanto tutte le cose del passato che ignoro, e invece pensare di essere nata prima di piazza fontana mi fa sentire vecchissima.]
mantra della serata: leggereilibridicamillacederna leggereilibridicamillacederna leggereilibridicamillacederna.
berenice abbott.
changing new york @ the new york public library.
new york changing by douglas levere (via design observer).
dopo aver curiosato tra i campioni di grafia raccolti da ale e babsi, mi sono accorta con un certo raccapriccio di non avere un campione recente della mia scrittura, se non scarabocchi deformi buttati giù in treno o in piedi. insomma, sono anni che non scrivo su carta, se non promemoria e liste della spesa: c’è quasi sempre un computer.
questo l’ultimo reperto utile – 1999. fuga dall’inchiostro.
in un impeto nostalgico, allora, ho passato allo scanner qualche vecchia paginetta. (volendo si possono anche leggere. con indulgenza.)
non so se in nederlandese vi sia differenza tra «finestra» e «vetrina», ma nella pratica del centro della capitale non c’è. c’è invece la messa in scena dei ristretti spazi interni, e non sembra fare molta differenza che il passante veda con lo stesso nitore la cucina di un appartamento, la vetrina o l’interno di un negozio, il salotto di un palazzo sui canali, un ufficio, un laboratorio, gli avventori di un caffè o le signorine sotto le lampade rosse. personalmente trovo più spudorato pelare le patate in pubblico che non esporre per uno scopo dichiarato le proprie grazie, ma agli autoctoni, che tanto passano veloci in bici, penso non faccia né caldo né freddo nessuna delle due cose. sugli stretti davanzali delle finestre che non si aprono, tra vari soprammobili messi apposta per l’osservazione dall’esterno, capita spesso di vedere dei gatti. se ne incontrano molti anche in giro – poco sorprendente, immagino, in una città d’acqua – e amichevoli, come la gatta del bar che ti si accoccola vicino mentre sorbisci la tua bokbeer o il gatto del cortile.
per fortuna però non sono l’unica a incontrare con preoccupante frequenza gatti alla finestra nei paesi nordici: stefano ne ha portato le prove da riga e da san pietroburgo.
questa finestra invece, presumiblimente italica, arriva da una delle guest star del mio blog (le ormai note sorelle materassi) che l’ha estorta a una sua collega. a tanto siamo arrivati.
forse non è proprio il massimo della furbizia andare ad amsterdam quando le giornate sono corte e i maggiori musei in ristrutturazione, né arrivare al pijp quando il mercato è già finito, i negozi stanno chiudendo e in mezzo ad albert cuypstraat c’è solo un grosso uccello semitrampoliere in cerca di cibo.
in questi casi si finisce per dilettarsi fotografando le vetrine indiane e magari gli ascensori industriali e il panorama del palazzo delle poste sede temporanea dello stedelijk.
o signora che spazzi le foglie
io non so di chi tu sia la moglie
né se covi colpevoli voglie
o signora che spazzi le foglie
stasera a milano c’è patti smith. non ho mai visto patti smith, e più vicino dell’alcatraz potrebbe venire solo nel tinello di casa mia (in mezzo per la verità c’è un’altra piccola discoteca, che purtroppo però non fa più concerti), quindi si va.
ciò peraltro solleva per l’ennesima volta una questione confusa: i milanesi ricorderanno che qualche anno fa partì una campagna di boicottaggio di questo locale. un raduno di estrema destra era stato ospitato da un club più piccolo nello stesso stabile, e si disse che la proprietà dei due locali era la stessa – riconducibile a un tale di cui, a quanto leggo in rete,* chi si ricorda gli anni 70 tende a diffidare (ma pare sia stato anche gestore – o padrone? – del rolling stone, e non ricordo che nessuno abbia mai boicottato il rolling stone, da quando sto a milano).
è ben noto che io di politica non capisco una cicca e mezzo, quindi se qualcuno ha notizie più precise su questa faccenda, mi illumini.
* fonti: kataweb, umanità nova, contropotere digest, notizie riprese da repubblica, dal corriere, dall’ansa. non si riesce a fare la ricerca in indymedia, immagino siano i postumi dell’iniquo sequestro dei server.