the black saint

è una gioielleria del jazz in via vincenzo monti a milano, un negozio quasi invisibile: tutto nero, scaffali, banco, pavimento, soffitto, senza insegna. ma guardando dentro l’unica piccola vetrina, anche se le luci sono basse, si può vedere un grande gatto bianco a pelo lungo sdraiato sul piano lucido del banco.
(l’altro giorno ho portato a casa un disco in vinile per p. ed ero un po’ preoccupata, mi pareva di avere in mano una cosa fragile. forse per questo prima i dischi sembravano più preziosi.)

inventario semplice (ci vuole un minuto)

delle cose piacevoli del mese di settembre:

film – solo fiabe (assumere in grandi quantità dopo un avvenimento luttuoso): il castello errante di howl di miyazaki, brothers grimm di terry gilliam, tim burton’s corpse bride. ancora da completare con la fabbrica di cioccolato, poi non so, temo non ci saranno più film del genere fino a natale 2007.

ancora foto dei gatti di b. il gatto venuto male (bersagliato controvoglia dai miei interventi farmaceutici) sembra guarito dalla rinotracheite.

un’ora di yoga e i raveonettes nello stesso giorno. (premesso che i r. sono un po’ «il mio genere», devo dire che l’ho trovato divertente ma anche inquietante, che ormai si possa fare una sintesi che va da phil spector a jesus & mary chain senza apparente sforzo.  superficiale? forse.  ma  «superficiale» è negativo?  comunque, divertente.)

la gatta di via g.

Gattag1 l’ho vista già diverse volte andando e tornando dall’ufficio. è magra, ma se sta in via g. vuol dire che qualcuno le dà da mangiare. la gatta di via g. è miagolona e coccolona, e usa stare sul sedile di uno scooter parcheggiato lì, che ormai ha la fodera tutta bucherellata. l’unico incontro in cui ho potuto fotografarla era serale, e l’unica mia arma la piccola automatica, perciò le immagini sono venute o con l’orrido flash oppure mosse.

le finestre di amsterdam (e nuovi gatti degli altri)

non so se in nederlandese vi sia differenza tra «finestra» e «vetrina», ma nella pratica del centro della capitale non c’è. c’è invece la messa in scena dei ristretti spazi interni, e non sembra fare molta differenza che il passante veda con lo stesso nitore la cucina di un appartamento, la vetrina o l’interno di un negozio, il salotto di un palazzo sui canali, un ufficio, un laboratorio, gli avventori di un caffè o le signorine sotto le lampade rosse.  personalmente trovo più spudorato pelare le patate in pubblico che non esporre per uno scopo dichiarato le proprie grazie, ma agli autoctoni, che tanto passano veloci in bici, penso non faccia né caldo né freddo nessuna delle due cose.  sugli stretti davanzali delle finestre che non si aprono, tra vari soprammobili messi apposta per l’osservazione dall’esterno, capita spesso di vedere dei gatti.  se ne incontrano molti anche in giro – poco sorprendente, immagino, in una città d’acqua – e amichevoli, come la gatta del bar che ti si accoccola vicino mentre sorbisci la tua bokbeer o il gatto del cortile.

per fortuna però non sono l’unica a incontrare con preoccupante frequenza gatti alla finestra nei paesi nordici: stefano ne ha portato le prove da riga e da san pietroburgo.

Snobbishsnowwhitequesta finestra invece, presumiblimente italica, arriva da una delle guest star del mio blog (le ormai note sorelle materassi) che l’ha estorta a una sua collega. a tanto siamo arrivati.