da parte di leo (se ne parlava qua)
one more logan, btw.
ascolti
a un primo ascolto
l’album dei cure è tutt’altro che uno dei loro migliori.
(io faccio questi sforzi di tenermi aggiornata, poi mi giro un attimo p. ha già messo su seventeen seconds.)
regalo di compleanno
per il blog, intendo: mi pare di aver deciso di iniziare poco dopo un concerto di i am kloot, che quest’anno non suonano in italia, ma hanno in uscita un album nuovo… stavolta ci pigliamo il vinile autografato, va’.
john martyn al joe’s pub
alla fine è stato l’unico concerto che siamo riusciti a vedere a new york – causa cattive notizie ricevute da casa, non eravamo tanto dell’umore di andare a cercare i clubbini trendy, mentre con il maliconico set di un sessantenne in città per farsi cambiare una protesi ero perfettamente in sintonia (scoperto la mattina stessa da un volantino sulla porta di other music).
è stato un concerto breve ma intenso: lieti di aver contribuito un pochino anche noi alla gamba nuova, caro john martyn, e di averti visto da vicino benché un po’ da dietro una colonna, a causa di quell’assurda abitudine dei luoghi da concerto alla blue note, di mettere sempre la gente a tavola a mangiare e bere. che diamine.
milano in settembre
presenta ormai una infruibile stratificazione di panoramica dei film di venezia/milano film festival sempre più esteso/festival musicale MITO/ripresa di concerti vari.
però non mi sono scoraggiata e ho visto:
il primo giorno d'inverno di mirko locatelli e ballast di lance hammer
fujian-blue di weng shou-ming e slow mirror dei bucharov (grazie al cielo per i titoli in «inglese internazionale»)
and now for something completely different dei monty python (contenente lo sketch sulla barzelletta che uccide)
il concerto dei killing joke che prevedibilmente era bello
il concerto degli afterhours che meno prevedibilmente – per me – era bello (su afterhours e scerbanenco: vedi)
ah, dopo terry gilliam è arrivato pure vincent gallo, che mi piace sempre di più dopo averlo visto live (ma che folla c'era… perché?), e persino dopo aver visto the brown bunny, forse per la tenerezza che mi fa l'esistenza di un film così improponibile, con un titolo del genere (da vedere, però, almeno il trailer).
si potrebbe anche approfondire l'argomento dibattendo non sulla famigerata scena di brown bunny, ma magari se sia vero che, come dice un commento di youtube, vg sembra il figlio di david lynch e woody allen; se la sua sfida al senso dell'umorismo americano – v. il sito, le dichiarazioni politicamente scorrette, le bizze da star – abbia un senso; se gli effervescenti aneddoti autobiografici abbiano un fondamento o no… non adesso però, perché ho festeggiato l'equinozio d'autunno pigliandomi un'infreddatura colossale e desidero solo raggomitolarmi da qualche parte (è per questo, in realtà, che mi do a in treatment).
vincent gallo mi ricorda un'altra faccia inquietante, quella di stefano cassetti.
è il 21 luglio e ho appena fatto un bagno caldo
non più improbabile, in teoria, dell’arrivo a milano di tom waits, verificatosi peraltro la scorsa settimana. era diventata così leggendaria la sua assenza in italia dal premio tenco dell’83, che non ricordavo neanche fosse stato a firenze nel 99.
nel frattempo avevo quasi cominciato a volergliene un po’, a tom waits, per aver involontariamente istigato troppa gente a imitarlo, ma alla fine è andato tutto bene. insomma, è stata l’occasione per ricordarmi che tom waits mi piaceva follemente (prima che smettessi di ascoltarlo, ma questa è un’altra storia).
ci sono andata venerdì 18, concerto favoloso, teatralissimo nonostante gli effetti misurati (luci belle, giacca con la fodera rossa, nuvole di polvere sotto le scarpe, oggetti vetusti sul palco), peccato che agli arcimboldi non ci siano i palchi e le poltrone di velluto rosso. trovo strano andare proprio alla bicocca, tra il nuovo che avanza, a certi concerti in cui si tenta di ritrovare emozioni familiari.
abbiamo avuto intatte le atmosfere a tutti care di rain dogs, ma anche varietà di ritmi, storielle al pianoforte e professionismo u.s.a., ma non esagerato, tranne forse per il chitarrista (si sa, i chitarristi… poi, insomma, per il biglietto esoso avrei voluto marc ribot. e magari un programmino di sala, no? stampato bene… macché).
tra splendore e disgrazia prevale il primo, eppure il personaggio non delude: whimsical, quirky, quel che volete. pronuncia il milanese meglio di me (non che io sia milanese). e comunque non ho ancora capito come fa a produrre quella voce; quando parla è tutta diversa.
sulla locandina ufficiale la pioggia glitter del finale luccica veramente, ma non l’ho comprata.
dubbi sulla setlist. (nemmeno io ricordo che cemetery polka sia finita in medley con big black mariah, ma tant’è.)
su flickr ci sono un po’ di foto, nonostante la security nervosa e sniffosa.
un inventario: tom waits confessions.
non so se tom waits sia un marziano del rock; a me sembra forse la forma più evoluta del bluesman, rassegnato all’amplificazione della popolarità (la sua scenografia, sin dallo scorso tour, è un assemblaggio di vecchi altoparlanti a cornetta), e a utilizzarne al meglio l’inevitabile distorsione.
altro link propedeutico a nyc
tutto l’album chelsea diaries dei dead heart bloom in download.
(ma cosa farei senza jeremy schlosberg?)
errata corrige
dunque, ho casualmente ritrovato le prove di aver già visto gli EN (a differenza di quanto frettolosamente sostenuto qua).
a cosa attribuire l’orrenda falla mnemonica?
dubito che sia stato un concerto così dimenticabile, specie per la mia psiche venticinquenne.
eppure l’analogia con un ipotetico tentativo di ripescare dati da un disco ottico (il supporto d’archiviazione dati in uso allora) è preoccupante.
(altro concerto che non mi ricordo affatto: i rem nel 95. bah.)
quesito: ma quando si sono estinti i biglietti illustrati?
l’ultimo in mio possesso è del 2003.
purtroppo non ne ho conservati molti (adesso invece mi sa che comincio a tenere pure quelli ticchettone, metti che servano.)
siouxsie a villa arconati (happy birthday hong kong garden)
non pensavo fosse un tale evento mondano: potenza del revival degli anni 80, suppongo.
non fu così infatti, per concorso di folla, al cavernoso concerto dei creatures del 15.03.99 al rainbow – che peraltro resta il mio concerto di siouxsie preferito (infatti i banshees li avevo visti solo il 10.10.91 al city square – concerto di cui non ho memorie precise – mentre p., beato lui, era sotto il palco al parco delle basiliche il 19.07.82… che bello ricostruire tutte le date grazie alla gig history!)
anche ieri sera comunque, nonostante il suono fosse pessimo, alla fine si sono fatti strada sia la vibrazione tribale sia la gotica grandeur che sono i tratti distintivi della susanna che amiamo.
su uno sfondo di veli e stagnola cangianti, inguainata in una tutina space age nera e argento (molto più bella di quelle di ostia – anche qua – e di pisa; più simile a quella di liegi), ha fatto sfoggio di un’invidiabile forma fisica; da un paio di movimenti mi sono fatta l’idea che ella pratichi lo yoga, chissà. fascinosa silhouette da lontano, da vicino per fortuna dimostra la sua età con una ruvidezza punk che non si sogna di abbandonare.
setlist imprecisa:
they follow you
about to happen
here comes that day
dear prudence
christine
happy house
nightshift
hong kong garden
drone zone
loveless
if it doesn’t kill you
into a swan
israel
arabian knights
spellbound
come ho iniziato l’estate
domenica 22 mi sono aggirata per firenze, con estrema precauzione dovuta al caldo feroce (io e m., difficile immaginare due persone più vessate dal caldo – p. non c’era avendo preso come scusa alquanto originale il fatto di doversi recare nel nord del congo, dove fa meno caldo), tra vaghe memorie scolastiche (gita scolastica e nozioni scolastiche) non confermate dalla realtà, un certo senso di oltraggio davanti a un culto della moda griffata che neanche a milano (sottolineo), orde di americani che io, non essendo stata in america, non avevo mai visto tanti tutti assieme. ora, questo ci stava anche bene visti i motivi dell’escursione (di cui poi), ma non ho potuto non pensare alla fallaci, al suo ormai proverbiale sdegno contro gli immigrati accanto al duomo. a parte che di immigrati l’altro giorno ne ho visti pochini (spero stessero facendo la siesta, sarebbe stata l’unica cosa furba), a sfigurare la città storica, anche per chi non voglia museificarla, direi che sono le insegne della boutique monomarca chanel in piazza della signoria e le orde di turisti. tutte cose forse in linea, a distanza di secoli, con la ricchezza di firenze, il commercio di tessuti ecc., si potrebbe anche dire. eppure il lusso nuovo (l’alta moda, i viaggi «culturali» di massa) ha una connotazione per me così disagevole, dal punto di vista costume/morale, che non riesco a dare una valutazione positiva di tutto ciò.
forse per questo non ho fatto neanche un po’ di shopping, né ho avuto voglia di farne, ottimo.
tra gli americani riparati al giardino di boboli, tuttavia (in centro a firenze bisogna pagare 10 euro anche per trovare uno straccio d’ombra, questo la dice lunga), c’era un anziano signore che ha suonato soavemente la chitarra per tutta l’oretta in cui ci siamo schiantati sul praticello, e ha pure canticchiato un blues. com’è come non è, era il roadie che accorda la chitarra a neil young, riconoscimento effettuato da m. ché io non sono fisionomista. ny era l’americano (ok, canadese) per cui ci siamo recati a firenze in the first place, pieni di speranza in un concerto il più elettrico possibile, cosa che si è verificata al di là delle più rosee aspettative.
sono una signora con un certo contegno e per farmi venire i brividi ai concerti ci vuole minimo roba così: la versione cattiva di hey hey my my
foto del concerto su flickr: qui e qui. il totem dell’indiano non l’avevo visto, ero un po’ lontana, ma il palco così ingombro, con gli enormi riflettori da cinema su stativo, la batteria al centro e il grande ventilatore, mi è piaciuto.
il pittore sul palco è eric johnson (quanto costerà comprare il quadro out of the blue?)
chi è in grado di scrivere un paragrafo ispirato sull’incandescente chitarra younghiana per favore si palesi. io anche oggi ho bevuto troppo caffè shakerato, la droga dell’estate per chi ha la pressione bassa.
sempre per la serie senonsonsessantenninonlivogliamo, ammetto inoltre di aver ceduto al richiamo degli esosi biglietti per tom waits a milano. speriamo bene.