sarà l’importanza delle abitudini prese in tenera età, credo, a farmi sentire a mio agio in uno dei luoghi più squallidi frequentabili sull’italico suolo, la stazione ferroviaria.
saranno anche l’implicita e illusoria promessa di mobilità, la quantità spropositata di sogni per l’avvenire consumati in passato in attesa su banchine da pendolari, o la preziosa privacy di un momento in cui non si è da nessuna parte, chissà.
ad accentuare questo effetto, appena entro alla centrale di milano mi verrebbe da comprare dylan dog, che a mia insaputa si dev’essere guadagnato in anni lontani il ruolo di emblema della indulgente lettura da treno, necessaria per sopportare gli scossoni e favorire un qualche benessere della fantasia, in un tempo che si è autorizzati a perdere.
in effetti, delle stazioni mi attirano (anche questo meccanicamente, pavlovianamente) le edicole e la loro assurda abbondanza di carta stampata. la ragione è certo che l’edicola più vicina alla mia casa di paese, allora, stava nell’atrio della stazione, quindi la stazione era possibilità di andar via + possibilità di leggere le novità. che temibile carico simbolico, per una tappa di una linea secondaria.
(T’ho riacchiappato)
Pavloviano, dici bene, e un po’ proustiano, un riflesso che abbiamo in comune; per me fermarmi a comprare DD in stazione è un riandare agli anni dell’università, ogni volta sembra ieri.
Per inciso, a ottobre scatta il ventennale. Argh.
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dici bene: argh!
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