un paio di settimane fa ho sbrinato il frigo.

pulendolo dentro e fuori com’è d’uopo fare in questi casi, ho tratto in salvo un ritaglio di giornale ormai ingiallito: sarà almeno di un anno fa l’articolo del manifesto in cui busi deplorava l’invasione dei giornali da parte della pubblicità, della quale propugnava invece una forma «organica» ai contenuti editoriali. posto che alle merci è assai difficile sfuggire, almeno facciamo una pubblicità consapevole a quelle che ci piacciono.

qui sotto, l’altrimenti irreperibile ritaglio. manca l’inizio dell’articolo (ho conservato solo la parte merceologica); il segno bianco è quello del magnete che lo attaccava al frigo.

busi

e un’altra memorabile manifestazione di busi-pensiero mi torna alla mente: la stroncatura dei cosiddetti festival della letteratura (verso settembre scorso, se non erro su carnet – vado a vedere se ne ritrovo copia).

i giornali li leggo poco.

ci provo, ma non ci riesco. cerco qualcosa che mi faccia pensare, mi trovo travolta dalle informazioni. li sfoglio, tengo delle cose da leggere «domani», mi arrabbio… in questo periodo, nella grande confusione su cosa-perché leggere in merito all’attualità e ai problemi del mondo, che ormai ci schiacciano con un senso di colpa individuale abbastanza difficile da gestire, la mia ancora di salvezza è il già citato commento settimanale di monbiot, per almeno due motivi: intanto scrive con chiarezza tale da infondere una sia pur minima fiducia che valga la pena di cercare, informarsi, provare a capire qualcosa, e poi dopo la lettura non si rimane annichiliti dall’oscurità del futuro ma rimane una sana voglia di parlare, discutere, al limite (stante la pigrizia del lettore medio, io) anche fare. polemica, ma stimolante. l’articolo di ieri ha questa lucidità geniale (anche un po’ da schiaffi, se vogliamo): la biodiversità merita di essere salvata perché è bella. non bisogna giustificare il bisogno di conservare le specie – quelle la cui estinzione si può evitare e sta avvenendo a precipizio per cause umane – col fatto di trovare principi attivi per i farmaci o mantenere l’equilibrio esistente negli ecosistemi, che peraltro sono in perenne mutamento. dovremmo farlo per noi, mica per il pianeta. segue un brano esemplare per inflessibile pessimismo leopardiano:

al pianeta, non potrebbe importargliene meno. è un ammasso di pietra. è abitato da grumi di molecole che si autoreplicano chiamati da noi forme di vita, il cui scopo è di invertire l’entropia il più a lungo possibile, catturando energia dal sole o da altre forme di vita. l’ecosistema è semplicemente il flusso dell’energia tra queste forme di vita. non ha valori, non ha desideri, non ha pretese. non pratica né riconosce crudeltà o gentilezza. come altre forme di vita, noi esistiamo solo per riprodurci. siamo diventati così complessi solo perché questo ci permette di rubare più energia. un giorno, la selezione naturale ci spazzerà via dal pianeta. le nostre opere non saranno neppure dimenticate: non ci sarà nulla capace di ricordare. ma una curiosa componente della nostra complessità è che in noi, come in altre forme complesse, si è sviluppata la capacità di soffrire. soffriamo quando il mondo diventa un luogo meno piacevole e interessante. soffriamo quando percepiamo la sofferenza altrui. a me sembra che l’unico scopo superiore che possiamo aspirare ad avere sia tentare di alleviare la sofferenza: la nostra e quella delle altre persone e degli altri animali. questa è di sicuro una motivazione sufficiente per qualsiasi progetto vogliamo intraprendere. è una motivazione sufficiente per la protezione delle belle arti o dei libri rari. è una motivazione sufficiente per la protezione delle forme di vita rare. la biodiversità, in altre parole, è importante perché è importante. se vogliamo proteggere la natura, dobbiamo farlo per noi stessi. non è necessario pretendere che qualcos’altro ci spinga a farlo. non è ecessario far credere che qualcuno abbia un assoluto bisogno della protea reale, del rospo d’oro o dei sifaka per sopravvivere. ma possiamo dire che, per quanto ci riguarda, senza di loro il mondo sarebbe un posto più povero.

visioni eterogenee

di fine/inizio d’anno. andare al cinema, si sa, è una delle cose per cui vale la pena di andare a parigi. px diceva: riusciremo a vedere un film di melville? pronti. non un bensì il film di melville, le deuxième souffle. che, caso strano, ha anche in italiano un titolo bellissimo, seppure un po’ lungo: tutte le ore feriscono, l’ultima uccide (traduzione del motto latino che si vede su certe meridiane e che, via melville, dà il titolo a un archivio per ora poco nutrito di questo blog, quello a sfondo più, boh, esistenzial-autobiografico). però il massimo della ricercatezza (o della coincidenza) è proiettare questo film il 29 dicembre, che nella storia è il giorno della rapina fatale… basta, non dico altro.

primo film dell’anno, invece, il dracula danzerino e cinese (più comica che film espressionista, nell’adottare il muto e il bianco e nero) di guy maddin. non sarebbe male vedere i suoi film precedenti; in francia un paio sono usciti in sala.

secondo film dell’anno, a mo’ di bentornato, un italiano che si vede tutto d’un fiato, caterina va in città di virzì. immagino sia un po’ preoccupante identificarsi con la protagonista avendo più doppio dei suoi anni, non?

armi con le ali

s’intitola l’articolo di monbiot di questa settimana, sul centenario dell’invenzione dell’aeroplano. ben lungi dall’unirsi al coro di retorica sul progresso, il severissimo gm ci ricorda che i fratelli wright hanno pensato, progettato e venduto al governo degli usa l’aereo non come strumento per andare a spasso ma come macchina da guerra, diventata un’arma di distruzione di massa usata senza il minimo scrupolo nei conflitti mondiali e in vietnam. ma ce n’è anche per i voli commerciali: un passeggero di un volo andata e ritorno inghilterra-florida produce più anidride carbonica di un automobilista medio in un anno (e recentemente l’organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che i cambiamenti climatici uccidono 150.000 persone l’anno). Il caro george a natale non diventa più buono, anzi. e lo amo per questo, ma solo perché ho la coscienza sgombra: stavolta in vacanza ci andiamo in treno.