il regalo che ci ha fatto la cineteca allo spazio oberdan è stato una rassegna in video. perlomeno io, quando mi sono decisa – schiacciata dai sensi di colpa perché mi stavo perdendo ozu – ad andare a vedere tarda primavera, di un film meraviglioso ho trovato una deprimente videoproiezione (ma all'ingresso mi hanno poi detto che la rassegna di quest'anno era tutta così).
ora, se proprio proprio non si trovano copie in pellicola e vogliamo comunque proiettare un film in video in quanto raro (ma di tarda primavera esiste addirittura il dvd italiano), per piacere scriviamo il formato sul programma, se no che cineteca è, scusate.
mah, consoliamoci con gli interni di tarda primavera e un articolo con osservazioni interessanti sugli oggetti solitari in ozu (eng).
visioni
one more ghost
il fotografo a cui porterò questo reperto avrà il suo bel da fare.
ecco una parte di un nebbiosissimo negativo che misura 58 x 82 mm (pollici 2 e 1/4 x 3 e 1/4, credo; dunque possibile formato kodak 105, 620 o 520 film pack?).
qui propendo più per una provenienza dalla famiglia paterna e sul soggetto ho un’ipotesi completamente infondata (diciamo piuttosto un desiderio).

blow up in casa b.

insomma avevo da anni in un cassetto questo negativo molto rovinato dall’aria antica, trovato sparso a casa dei miei. chissà come mai (non capendo un tubo di fotografia, si potrebbe dire), pensavo fosse ancora più vecchio di quel che realmente è, e pensavo di non conoscere la persona ritratta.
a quanto ho capito facendo una ricerca in base alle dimensioni, potrebbe essere un fotogramma di un rullino kodak 121 (pollici 1 e 5/8 x 2 e 1/2, in produzione dal 1902 al 1941) per una piccola macchina a soffietto.

una delle prime cose che ho fatto dopo aver messo le mani su uno scanner che riprende anche negativi è stato acquisire l’immagine (anche se devo ancora capire come acchiapparla intera, visto il formato strano – lo scanner vorrebbe solo 35mm).
facendolo per la prima volta ho sbagliato un’impostazione e l’immagine è apparsa sul monitor ancora in negativo. allora ho pigiato l’apposito comando per invertire il bianco e nero.
mi è apparsa una signora dall’aria familiare, che mi ha ricordato altre foto di famiglia.

con grande struggimento mi sono resa conto che era quasi certamente mia nonna, e per essere più sicura mi sono precipitata a identificare lo sfondo.
mia madre ritiene del tutto possibile che la foto l’abbia scattata il nonno alla nonna negli anni 20.
intanto la stampante fa elaborazioni proprie di quel freddo giorno d’inverno di tanto tempo fa.

(ho provato in tutti i modi, ma gli occhi non si vedono.)
scacchisti canadesi e zii tailandesi
al cinema mi sono lasciata sfuggire l'adèle blanc-sec di besson (è andato così male che è sparito dopo 2 settimane… che sia tanto brutto?). sono dunque rimasta a digiuno di effetti speciali, e invece mi sono capitati…
ivory tower di adam traynor è in realtà la creatura cinematografica di chilly gonzales, che prima della proiezione ha gigioneggiato al piano in vestaglia grigia e pantofole. un film molto carino con il classico sapore dei film indipendenti americani del ceppo di hal hartley, per intenderci, più supplemento di spaesamento canadese. piaciuta pure peaches come attrice. ciò che ha lasciato spaesata me però è l'appiattimento estetico: il grigiore generale andrà benissimo per dipingere la casa di famiglia e un campionato di scacchi di serie z in una palestra, per carità, ma il fatto che un film premiato a locarno abbia una fotografia così banale mi fa effetto. (o magari era la nostra proiezione, pure in digitale, a farlo sembrare così.)
quanto a lo zio boonmee che si ricorda le vite precedenti, palma d'oro a cannes 2010, purtroppo mi sono rivelata impermeabile alle suggestioni orientalistiche. tutto resta così slegato e criptico – non criptico strano, ma criptico in una strana quotidianità dei fantasmi – che non riesco a considerarlo un film riuscito. qui povertà visiva più studiata e cercata, ma che non arriva davvero costruire un mondo… mi resta il sottile fastidio di non avere in realtà capito cosa ci sia sotto.
(è stata invece una settimana in cui sono stata più reattiva alla comunicazione diretta: a sentire giorello in tv dalla dandini e vendola a milano per sostenere pisapia, ho avuto una sensazione di autenticità di idee e riscossa della ragione che mi ha quasi smosso dal letargo novembrino)
de oliveira allo spazio oberdan
per la serie (non esiste, ma potrebbe) «che cosa fecevo un anno fa»: continuo l'immersione nelle bozze di post mai pubblicati.
12.10.2009
ho visto il principio dell'incertezza e francisca, entrambi tratti da romanzi di agustina bessa-luís; il secondo risulta in commercio in edizione italiana e davvero viene un po' curiosità di vedere come siano i testi da cui de oliveira riesce a trarre i suoi apologhi antinaturalistici.
inception di christopher nolan
dopo matrix, existenz, dodici scimmie (tutti più belli), ecco un altro film con una tecnologia che permette di entrare e uscire da un mondo parallelo. stavolta quello del sogno. l'invenzione del «sognare insieme a qualcun altro» è bellissima, davvero, e il film dà per scontato che quella certa valigetta esista e funzioni. però, visto che lo scenario dei sogni può essere costruito a piacere… perché farne un grande omaggio ai film di 007? l'inconscio americano non sarà mica tale da poter sognare solo stereotipati set di film d'azione, no?
leonardo di caprio fa un personaggio straordinariamente simile a shutter island di scorsese, quando appare michael caine si fa fatica a non pensare che sia il suo maggiordomo, ellen page spiegazza parigi (e in qualche modo, su quel ponte, mi è parsa rievocare qualcosa di ultimo tango) ma alla fine ha poco spazio, marion cotillard prigioniera di un personaggio un po' tedioso, e nel complesso si sta tanto nel sogno che a questo film manca un mondo… reale.
in compenso mi è piaciuto proprio tanto ken watanabe e ho riconosciuto tom berenger dopo un secolo che non mi capitava di vederlo al cinema.
la manona di cattelan
davanti alla borsa di milano si inserisce perfettamente nella piazzetta dall'architettura marmorea d'epoca fascista: solo da vicino rivela come dettaglio spiazzante non tanto le dita mozzate (da un arto reminiscente delle gigantesche statue romane nasce un saluto fascista mutilato in sofferto gesto di scorno), quanto le linee quasi fumettistiche del disegno (vene, unghia).
sabato pomeriggio appariva molto più seria e severa della borsa stessa, bardata di striscioni di ferragamo e luci rosse sulle statue, per una sfilata di moda.
se si lasciasse in permanenza il cattelan e si togliessero le auto, secondo me la piazza ci guadagnerebbe assai.
il manifesto milanese di cattelan
siccome non lo vedremo affisso, lo ospitiamo qui, per non smentire la precedente familiarità con l’opera.
ma, voglio dire, a parte l’ignoranza comunale che impedisce di accogliere qualsiasi interrogativo suscitato dall’immagine… milano è già tanto sgradevole, non vedo che potesse fare di male il manifesto. o forse è proprio questo il problema: non ci possiamo permettere la goccia che fa traboccare il vaso.
visto il film di herzog al palestrina
(ecco un altro appassionante post su una cosa successa una settimana fa, ma del resto il film era a venezia nel 2009… a uscire ci ha messo un anno!)
my son, my son, what have ye done è prodotto da david lynch e, caso strano, sembra un film di david lynch: straniamento, senso di orrore non tanto legato al fatto di sangue quanto alle paturnie dei personaggi, presenza di un nano, presenza di grace zabriskie (e già che ci siamo perché non dare un'occhiata alle sue… sculture?).
chloe sevigny porta uno strano golfino peloso beige su shorts molto corti ed è fra i pochi interpreti dalla recitazione, diciamo, naturale. curiosità: udo kier e grace zabriskie erano entrambi nel cast di my own private idaho e even cowgirls get the blues di gus van sant.
rupert everett come sherlock holmes
venerdì scorso ero così esausta (dopo appena 5 giorni di lavoro) che ho guardato la tv, non riuscendo proprio a fare altro. e così mi sono appiattita davanti al gustoso caso delle calze di seta, ambientato nel 1902 per poterla passare un po’ più liscia con telefoni, profili psicologici, diagnosi di perversione sessuale e anacronismi vari. a parte questo, una dignitosa produzione bbc con ian hart molto carino al suo secondo ruolo come watson, ed everett volta a volta maledetto (poco, ma quel pallore e quel cilindro alto al cimitero… approvo) o faccia da schiaffi (per lo più). l’avevo proprio perso di vista* e ormai si stenta a credere ai suoi trascorsi di attore serio, no? però me lo sono guardato con un certo affetto e complicità. se ai tempi di another country e ballando con uno sconosciuto incarnava con il suo broncio la nostra giovanile inquietudine, forse poi ha scelto di invecchiare con noi e prestare la sua faccia strana (una volta pareva bellissima, ora è proprio strana e basta) al nostro bisogno di svago postimpiegatizio. qualcuno deve pur farlo.
per la cronaca, son già ridotta che prima di dormire riesco a stento a leggere 10 pagine dell’ispettore morse prima di sprofondare nell’oblio.
* ecco un sunto (non si capisce scritto da chi).