celtic 2 – rangers 1

ieri c’era il derby a glasgow. mi hanno detto che le due tifoserie cattolica e protestante vengono da belfast con il traghetto per andarlo a vedere.
questo è a tutti gli effetti un blog soccer-free, ma domani torna la troupe che è stata in irlanda del nord a girare un documentario sui ragazzini che giocano a calcio, e aspetto con impazienza i racconti.

intanto, il disco dei franz ferdinand mi fa saltare come una molla dall’inizio alla fine. sarà che il disco è bello o una crisi di irrequietezza primaverile?
ho cercato di appurarlo leggendo qualche recensione in rete. quelle inglesi sono piuttosto uniformemente positive, quelle americane più prudenti. qui in italy, capisco snobbare gli incensamenti eccessivi del new musical express e rintracciare influenze e precedenti, ma non sono d’accordo con le conclusioni liquidatorie (tipo bertoncelli).
sarei più d’accordo con il (presumo) giovane solventi di sentireascoltare.com, che vorrebbe scrivere una roba seria ma non ci riesce, perché quando la musica emoziona non c’è niente da fare (non c’è da preoccuparsi, è questa la croce e delizia di tutta la stampa musicale e soprattutto dei suoi lettori).


dire che i ff ci servono i primi ultravox (per me questo è il richiamo più smaccato) in salsa disco potrebbe significare che sono dei furbacchioni. e lo sono, chi dice di no (basta sentire la differenza tra la versione demo di darts of pleasure e quella, furbissimissima e splendida, dell’album). ma c’è ben altro: this fire, per dire – ma è questa la cifra del disco, data soprattutto dalla voce – fin dal testo è puro atteggiamento da pseudomito del rock, e nonostante questo o proprio per questo, chi lo sa, ha anche una sua verità, una sua urgenza, nel somministrare l’appropriata dose di torva rabbia per nulla esente da languore. nell’equilibrio del tutto convincente tra le due cose c’è, com’è sempre stato nei casi migliori, la modernità del rock britannico del ramo genealogico new wave, e i ff, nel loro bell’album breve, da sentire tutto difilato, senza una caduta di tono, belli pure i testi, sembrano di quelli bravi. (non si dica che sono i nuovi interpol! quei mollaccioni degli interpol? li ho pure visti suonare e mi pare di essermi moderatamente divertita, ma non mi ricordo più nemmeno che faccia hanno.)


intanto a glasgow, pian piano, ristruttureranno tutti i magazzini nel quartiere dei re del tabacco, e finalmente anche quel palazzo di mackintosh piuttosto cadente in una via del centro. ma gli studenti della school of arts continueranno a tirarsela e i gabbiani a strillare e la tennent super a scorrere a fiumi, e qualche bel disco finiranno sempre per rifilarcelo.

vedere

la realtà dietro le notizie: impresa quasi impossibile.
è cretino, ma oggi penso continuamente alle palme della stazione di atocha.

poi mi è venuta in mente la rabbia dell’angelo caduto.
(non per buttarla in poesia, che proprio non è il caso.)

graffiti preferiti

i miei erano quelli sulla martesana a milano. questo qui non c’è più. era già vecchio quando l’ho fotografato; dopo credo di averlo anche visto riprodotto su un libro. è un po’ che non faccio un giro d’aggiornamento per vedere che c’è di nuovo.

ossessione del giorno

obsessive link of the day: tube disruption è un feed che genera una pagina di aggiornamento continuo sui guasti e rallentamenti della metropolitana londinese. confermando che sono assai frequenti, come sospettavo in base alle sole esperienze turistiche. roba che la MM (metropolitana milanese) in confronto fa tenerezza. (link via rodcorp, se non sbaglio, un bel blog londinese che oggi però non si apre.)

ruins

è il sito di vitaliano trevisan ed enrico mitrovich, un’indagine sulle rovine – tutto ciò che è nell’architettura e nell’ambiente un residuo, quasi un rimosso – nella città (vicenza). peccato per la grafica un po’ così. a me era piaciuto non poco il romanzo di trevisan i quindicimila passi.

aggiunta: desolation, una pagina che collega ad altri «abbandoni», nonché infiltration, the ‘zine about going places you’re not supposed to go.
26.04.04: un sito americano, dark passage (link via totentanz)
11.05.04: altro sito newyorkese (non più aggiornato): underny.com.
24.05.04: un post in tema su things.
25.05.04: arg, un altro post pieno di link su scribblingwoman.

oggi teatro

a milano nord con la metrotranvia 4, per lo spettacolo del teatro della cooperativa nome di battaglia lia, sulle partigiane di niguarda, con la sala fitta fitta (teatro e territorio: funziona, fatto bene).
per motivi familiari le cose che so io di prima mano sulla guerra riguardano soprattutto parma, perciò sono molto contenta di vedere che è stato il comitato provinciale di parma per le celebrazioni del 25 aprile ad aggiudicarsi il dominio venticinqueaprile.it.
al teatro della cooperativa c’ero stata solo un’altra volta, una torrida sera dell’estate scorsa a sentire gli anarchistes (to’, hanno un blog). una serata dimagrante e rincuorante.

per le rovine e le macerie ho sempre avuto un debole.

quindi mi ha attirato subito la segnalazione del supplemento del sole24ore (non di oggi, di domenica scorsa) di un libro di marc augé che si intitola proprio rovine e macerie. in senso del tempo, in uscita da bollati boringhieri. parliamoci chiaro, il libro non lo leggerò mai, quindi mi trascrivo un brano riportato dal giornale che contiene qualche idea utile a sentirsi meno tonti quando, in vacanza, si rimane rapiti davanti a qualsiasi vecchio sasso o residuo di vita urbana ci si pari davanti (così almeno faccio io di solito). e magari faccio anche delle foto, che mi pare vengano sempre male: e ci credo, senza saperlo cercavo di catturare il «tempo puro»!

Contemplare rovine non equivale a fare un viaggio nella storia ma a fare esperienza del tempo, del tempo puro. Riguardo al passato, la storia è troppo ricca, troppo molteplice e troppo profonda per ridursi al segno di pietra che ne è emerso, oggetto perduto come quelli ritrovati dagli archeologi che scavano le loro fette di spazio-tempo. Riguardo al presente, l’emozione è di ordine estetico, ma lo spettacolo della natura vi si combina con quello delle vestigia. Ci accade di contemplare dei paesaggi e di ricavarne una sensazione di felicità tanto vaga quanto intensa; più quei paesaggi sono ‘naturali’ (meno devono all’intervento umano), più la coscienza che noi ne abbiamo è quella di una permanenza, di una lunghissima durata che ci fa misurare per contrasto il carattere effimero dei destini individuali. Allo spettacolo del perpetuo rinnovamento della natura può tuttavia ricollegarsi anche il confortante sentimento di una totalità che trascende quei destini o nella quale essi si fondono, l’intuizione panteista o materialista del ‘nulla si crea e nulla si distrugge’. La natura, in questo senso, abolisce non solo la storia, ma il tempo. Le rovine aggiungono alla natura qualcosa che non appartiene più alla storia, ma che resta temporale. Non esiste paesaggio senza sguardo, senza coscienza del paesaggio. Il paesaggio delle rovine, che non riproduce integralmente alcun passato e allude intellettualmente a una molteplicità di passati, in qualche modo doppiamente metonimico, offre allo sguardo e alla coscienza la duplice prova di una funzionalità perduta e di un’attualità massiccia ma gratuita. Conferisce alla natura un segno temporale e la natura, a sua volta, finisce col destoricizzarlo traendolo verso l’atemporale. Il ‘tempo puro’ è questo senso senza storia, di cui solo l’individuo può prendere coscienza e di cui lo spettacolo delle rovine può offrirgli una fugace intuizione. […] quel che di esse si lascia percepire è una sorta di tempo al di fuori della storia a cui l’individuo che le contempla è sensibile come se lo aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui.