per le rovine e le macerie ho sempre avuto un debole.

quindi mi ha attirato subito la segnalazione del supplemento del sole24ore (non di oggi, di domenica scorsa) di un libro di marc augé che si intitola proprio rovine e macerie. in senso del tempo, in uscita da bollati boringhieri. parliamoci chiaro, il libro non lo leggerò mai, quindi mi trascrivo un brano riportato dal giornale che contiene qualche idea utile a sentirsi meno tonti quando, in vacanza, si rimane rapiti davanti a qualsiasi vecchio sasso o residuo di vita urbana ci si pari davanti (così almeno faccio io di solito). e magari faccio anche delle foto, che mi pare vengano sempre male: e ci credo, senza saperlo cercavo di catturare il «tempo puro»!

Contemplare rovine non equivale a fare un viaggio nella storia ma a fare esperienza del tempo, del tempo puro. Riguardo al passato, la storia è troppo ricca, troppo molteplice e troppo profonda per ridursi al segno di pietra che ne è emerso, oggetto perduto come quelli ritrovati dagli archeologi che scavano le loro fette di spazio-tempo. Riguardo al presente, l’emozione è di ordine estetico, ma lo spettacolo della natura vi si combina con quello delle vestigia. Ci accade di contemplare dei paesaggi e di ricavarne una sensazione di felicità tanto vaga quanto intensa; più quei paesaggi sono ‘naturali’ (meno devono all’intervento umano), più la coscienza che noi ne abbiamo è quella di una permanenza, di una lunghissima durata che ci fa misurare per contrasto il carattere effimero dei destini individuali. Allo spettacolo del perpetuo rinnovamento della natura può tuttavia ricollegarsi anche il confortante sentimento di una totalità che trascende quei destini o nella quale essi si fondono, l’intuizione panteista o materialista del ‘nulla si crea e nulla si distrugge’. La natura, in questo senso, abolisce non solo la storia, ma il tempo. Le rovine aggiungono alla natura qualcosa che non appartiene più alla storia, ma che resta temporale. Non esiste paesaggio senza sguardo, senza coscienza del paesaggio. Il paesaggio delle rovine, che non riproduce integralmente alcun passato e allude intellettualmente a una molteplicità di passati, in qualche modo doppiamente metonimico, offre allo sguardo e alla coscienza la duplice prova di una funzionalità perduta e di un’attualità massiccia ma gratuita. Conferisce alla natura un segno temporale e la natura, a sua volta, finisce col destoricizzarlo traendolo verso l’atemporale. Il ‘tempo puro’ è questo senso senza storia, di cui solo l’individuo può prendere coscienza e di cui lo spettacolo delle rovine può offrirgli una fugace intuizione. […] quel che di esse si lascia percepire è una sorta di tempo al di fuori della storia a cui l’individuo che le contempla è sensibile come se lo aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui.